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Prospettive e necessità per lo sviluppo ed il consolidamento dell’affido familiare

L’orientamento delle attuali politiche sociali si è attestato sul modello del welfare mix: le istituzioni, il terzo settore e la stessa società civile sono così chiamate ad un cammino impegnativo di confronto, integrazione, sussidiarietà.

È tuttavia necessario che questo sia garantito dalle professionalità e capacità che negli anni si sono espresse e sviluppate nell’ambito dei servizi pubblici, capaci di garantire le parti più deboli della società e i diritti inalienabili di ciascuno, avendo presente che tale competenza non può in nessun modo essere delegata (vedi legge 328/00).

L’accoglienza di un minore da parte di una famiglia che non è la sua, è un grande gesto di solidarietà: non può quindi essere una questione privata, ma un fatto sociale che deve impegnare l’intera comunità locale. Ciò richiede però che questa sia sensibile e capace di raccogliere la sfida della giustizia e della solidarietà, spinta da cui può nascere la disponibilità all’affido.

Tale contesto fa sì che diventi fondamentale e imprescindibile chiarire il ruolo e la presenza dei Servizi e il contributo del “privato” che, se competente e qualificato, riveste un ruolo fondamentale: testimonia, infatti, con il suo impegno e capacità, che la solidarietà e l’accoglienza rappresentano valori importanti e significativi che rendono migliore il contesto in cui noi tutti viviamo ed amplia le risorse e gli strumenti sulle quali il Servizio Pubblico può contare nella realizzazione del sostegno. Va inoltre segnalata la funzione di mediazione, se non addirittura di vera e propria “facilitazione”, che sovente le Associazioni svolgono tra il mondo “istituzionale” del Servizio Pubblico e la dimensione “privata” delle famiglie, garantendo per i primi un adeguato livello formale e per gli altri la possibilità di spendersi in una relazione meno strutturata e fortemente empatica.

Nell’affido familiare, per altro, il contributo del “privato”, nel senso più ampio del termine, è da sempre necessario ed indispensabile, perché quest’esperienza richiede l’instaurarsi di un rapporto di aiuto e solidarietà sia fra privati (la famiglia di origine del bambino e la famiglia che lo accoglie) sia fra questi ed i servizi pubblici, sociali e sanitari, e l’Autorità Giudiziaria.

L’affido e l’accoglienza familiare prospettano allora un vasto orizzonte che richiede al Servizio Pubblico e al Privato Sociale di operare sul modello della “partnership”, in un rapporto dialettico di sussidiarietà, nella distinzione e valorizzazione delle differenze, integrando i vari contributi all’interno di un’ampia progettualità.

Presupposto fondamentale per lo sviluppo di tale rapporto è la realizzazione di un’azione coordinata a rete dei vari soggetti che operano nel settore, in cui un servizio pubblico con le proprie funzioni di garante, d’indirizzo e di verifica degli interventi ed un associazionismo competente e qualificato si confrontano produttivamente, per co-costruire un linguaggio ed una prassi comune, pur nel rispetto di funzioni, identità professionali e ruoli.

La rete, però, indipendentemente dal modello che s’intende applicare, non si costruisce solo attraverso la definizione di norme e standard procedurali.

Occorre innanzitutto saper “pensare in rete”, ossia essere in grado di mettersi nei panni degli altri, di vedere il mondo anche dal loro punto di vista, di cercare i punti di contatto tra le diverse prospettive, per costruire città dove famiglie aperte all’accoglienza, operatori del pubblico e del privato realizzano un progetto comune.

Si tratta di un percorso non semplice, che necessita di elementi essenziali, come la motivazione al servizio e l’apertura alla co-responsabilità, sui quali bisogna lavorare affinché si rafforzino e si diffondano a tutti i soggetti in gioco. Se questo avviene, allora, man mano che l’esperienza procede, ci si lascia reciprocamente contaminare, si stabiliscono relazioni di fiducia e “l’altro” (operatore, organizzazione, ente) non è più percepito come una controparte, bensì come un compagno di strada, in un continuo processo di arricchimento e crescita.

Appare dunque quanto mai necessario lavorare insieme, con la disponibilità ad aprirsi al nuovo e senza difendere posizioni pre-costituite, in un processo che non può mai dirsi completamente esaurito: si tratta di costruire un pensiero ed un linguaggio comune e non procedure o schemi.

Lavorare insieme significa aprirsi al cambiamento, rinunciare ad un identità forte a favore di un “pensiero debole”, ma forte nei presupposti di base e questa è la condizione perché il rapporto tra pubblico e privato possa continuare ad evolversi.

La legge, che assegna al Servizio Pubblico la funzione di garante della tutela dei diritti dei minori, ribadisce che la titolarità della promozione e della gestione dell’affido familiare è dell’ente pubblico e conserva all’esclusiva pertinenza dell’ente locale le funzioni inerenti la disposizione degli affidi ed i relativi compiti di controllo del corretto svolgimento dell’affido.

Prevede però un preciso spazio di collaborazione da parte delle Associazioni Familiari:

  • riguardo alla promozione dell’affido, il coinvolgimento delle Associazioni è facoltativo, in quanto gli enti “possono” stipulare convenzioni per la realizzazione di tali attività;

  • circa il sostegno agli affidi in corso e la definizione/verifica del progetto di affido, il coinvolgimento delle Associazioni è obbligatorio ma esclusivamente ausiliario, in quanto l’ente locale si avvale (non “può avvalersi”) dell’opera delle associazioni familiari eventualmente indicate dagli affidatari; l’intervento delle Associazioni si aggiunge quindi a quello pubblico, ma non può sostituirlo.

La sensibilizzazione e la promozione sono pertanto il terreno privilegiato della collaborazione tra i Servizi Sociali locali ed il privato sociale, tanto che su questo tema il Coordinamento Nazionale dei Servizi Affido e le Associazioni, già nel 2003, hanno elaborato uno specifico documento, del quale sintetizzo i punti chiave:

  • l’affido può svilupparsi solo nell’ambito di una complessiva promozione di una cultura della solidarietà e dell’accoglienza, che porti all’effettivo riconoscimento e sostegno dei diritti ed esigenze dei bambini e delle loro famiglie;

  • occorre che pubblico e privato si ri-conoscano reciprocamente quali portatori di competenze e funzioni diverse, trovando sinergie e linguaggi comuni, rispetto a obiettivi chiari e definiti;

  • nella fase di co-progettazione delle iniziative di promozione si dovranno fondere la conoscenza dei bisogni (in genere patrimonio dei Servizi) e la conoscenza del territorio e delle sue risorse (generalmente meglio conosciuta dalle Associazioni);

  • la collaborazione tra pubblico e privato nell’ambito della promozione ha un suo naturale proseguo nella fase informativa/formativa rivolta alle famiglie interessate. L’associazionismo è inoltre competente nel collaborare per il mantenimento della motivazione all’affido nelle famiglie, sia attraverso progetti specifici condivisi, sia attraverso una continua sollecitazione al pubblico rispetto alle responsabilità che gli sono proprie.

Per garantire effettivamente, allora, la tutela ed il sostegno dei bambini, dei ragazzi, anche quando sia necessario allontanarli dalle loro famiglie e per evitare il grave rischio che gli affidi e gli inserimenti in strutture d’accoglienza si prolunghino a causa di difficoltà nell’aiutare e sostenere la famiglia di origine o per scarsa attenzione nel valorizzare i piccoli cambiamenti che si manifestano nella stessa, o ancora per carenza di decisioni rispetto alla conclusione dell’affido, sul rientro del bambino a casa o sul percorso dell’adozione, è necessario che:

  • i Servizi siano attivi in tutto il territorio e possano sviluppare pienamente il loro ruolo (venendo dotati di risorse umane ed economiche adeguate e costanti), per attivare e sostenere concreti e significativi servizi ed interventi di sostegno alla famiglia d’origine, al minore, alla famiglia affidataria, anche in collaborazione con le diverse realtà associative e del volontariato. La Legge 149, pur rilevante, ha, infatti, riconosciuto ed assegnato agli Enti Pubblici la competenza sull’affido (coinvolge un’articolata ed ampia rete di soggetti e che richiede energie, sensibilità, capacità peculiari e competenze professionali), ma tali Enti ad oggi devono e possono muoversi solo nell’ambito delle proprie risorse e ben sappiamo quanto queste sono spesso veramente limitate e comportano scelte, anche dolorose, rispetto alle priorità e possibilità d’intervento;

  • siano predisposte, con gli operatori competenti (come nel recente documento del CNSA) e le associazioni specifiche, linee guida a livello nazionale, che garantiscano su tutto il territorio italiano corrette ed analoghe modalità, sia per quanto riguarda il ruolo e l’intervento dei servizi affido, sia riguardo alla predisposizione ed attuazione dei progetti di affido, sia rispetto alla valutazione e formazione delle famiglie affidatarie, sia per quanto concerne i sostegni tecnici ed economici per gli affidatari (contributo mensile, esenzioni per accesso e fruizione di servizi, spese di carattere sanitario, ….);

  • la formazione, l’aggiornamento ed il confronto professionale (e la conoscenza delle diverse esperienze), il monitoraggio degli interventi, lo studio e la riflessione rispetto ai mutamenti sociali ed il modificarsi delle esigenze e delle risorse, siano considerati prassi indispensabili a garanzia della qualità ed efficacia degli interventi, anziché, come spesso avviene, lasciarli affidati alle scelte delle singole amministrazioni ed alla buona volontà degli operatori;

  • siano disponibili risorse economiche ed umane per la promozione dell’affido, che necessariamente deve essere capillare e continuativa;

  • sia sostenuta e valorizzata l’esperienza delle famiglie affidatarie, delle Associazioni e delle Reti di famiglie, perché costituiscono un importante punto di riferimento per le famiglie ed il loro contributo è una grande ricchezza, che integra ed ampia il lavoro degli operatori sociali.

Tutto ciò richiede allora urgentemente la messa in campo, a livello nazionale e locale, d’investimenti e risorse costanti e rilevanti e l’emanazione d’indicazioni vincolanti per le Pubbliche Amministrazioni (rispetto all’organizzazione di Servizi Sociali e di Servizi Affido), senza le quali la “risorsa” affido non può decollare.

Recentemente, significativi segnali arrivano sia da parte del Ministero per la Famiglia sia da parte del Ministero della Solidarietà Sociale, che stanno attivando specifiche risorse: speriamo questo possa realmente consentire l’atteso e necessario sviluppo dell’affido, per contribuire a garantire il diritto di ogni bambino ad una famiglia che ne abbia cura e l’accompagni nella costruzione delle basi della propria vita.

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