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Dietro le sbarre: liberare la genitorialità

La carcerazione dei genitori, incidendo in maniera assai rilevante sulle dinamiche delle relazioni affettive, può far sorgere numerose problematiche che si riflettono sullo sviluppo dei figli e che possono manifestarsi anche a distanza di tempo.
Quando il genitore va incontro alla pena, vengono meno la funzione “protettiva”, che consente di sviluppare una relazione di accudimento per il bambino, la funzione “affettiva”, facente riferimento all’area dell’emotività, ed infine la funzione “normativa”, consistente nella capacità di fornire dei limiti attraverso una figura di riferimento riconosciuta.
La detenzione pone un ostacolo nel momento in cui non sono più presenti contatti costruttivi quotidiani.
Le conseguenze di questa mancata relazione dipendono da un largo numero di variabili, che includono l’età in cui è avvenuta la separazione, il benessere della famiglia, la forza dei legami tra i membri, la natura del crimine commesso dal genitore, la presenza e le opinioni della struttura parentale, nonché il supporto o meno della comunità esterna.
Molti bambini, e specialmente giovani, arrivano a provare un turbinio di sentimenti come la rabbia, l’ansietà, la paura, la solitudine, ma anche la colpa, sino a giungere alla depressione oppure a comportamenti autodistruttivi. Affrontare la carcerazione di un genitore vuole dire subirne la separazione e spesso l’identificazione.
Questa situazione invece, per molti genitori, rappresenta un vero e proprio distacco, nel tentativo di proteggere il figlio da un impatto così forte con la struttura di pena. Un padre e una madre detenuti devono anche fare i conti con la paura di essere un elemento dannoso, sentimento che a lungo può essere corroborante.
L’articolo 21 dell’Ordinamento Penitenziario fornisce una base importante, enunciando che “le condannate madri ed internate possono essere ammesse alla cura e all’assistenza all’esterno dei figli di età non superiore agli anni 10, alle condizioni previste dall’art. 21. La misura dell’assistenza all’esterno può essere concessa, alle stesse condizioni, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è altro modo di affidare la prole ad altri che al padre”. Detta disposizione è stata introdotta con la l. 40/2001, recante “Misure alternative alla detenzione e tutela del rapporto detenute e figli minori”, e disciplina un istituto ancora scarsamente conosciuto e poco utilizzato nella pratica.
Come si evince, il ruolo del padre resta pressoché residuale e solo limitato al caso in cui il bambino sia completamente lasciato a se stesso.
In ogni caso l’avvio del genitore all’assistenza esterna avviene di norma senza scorta, a meno che non vi sia un’espressa motivazione legata alla sicurezza. Il provvedimento che lo abilita è reso esecutivo solamente se approvato dal Magistrato di Sorveglianza, esplicitando le esigenze di assistenza, l’indicazione del luogo, gli orari ed infine gli adempimenti degli organi preposti al controllo.
Unica deroga all’applicazione di questa normativa riguarda il genitore decaduto dalla potestà, per il quale l’assistenza del figlio all’esterno non può essere concessa.
In sintesi, l’applicazione dell’art. 21 O.P. vale non solo per chi è condannato o internato, ma anche per colui o colei che è sottoposto alla custodia cautelare in carcere.
L’importanza della legge 40/2001 si estende anche all’introduzione degli articoli 47-quinquies e 47-sexies, che disciplinano l’istituto della detenzione domiciliare speciale. La norma ha come destinatari la donna incinta o madre di prole di età inferiore agli anni dieci (nonché il padre esercente la potestà, quando la madre sia deceduta o impossibilitata a dare assistenza), nel momento in cui abbia espiato almeno un terzo della pena, ovvero quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo. Il beneficio potrà essere concesso previa verifica della mancata sussistenza di concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e vi sia la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli.
Grande importanza deve essere assegnata anche all’art. 275 C.p.p, il quale consente la restrizione di madri di minori in tenera età, solamente quando il giudice riconosce la presenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza o nel momento in cui non ritiene di poter sostituire la misura cautelare più restrittiva con un’altra forma meno afflittiva.
Le norme citate permettono di comprendere come il nostro ordinamento abbia cercato di fornire risposte sempre più complete riguardo a situazioni di disagio o di marginalità. Il tema dei rapporti tra genitori detenuti e i loro figli è di primaria importanza, sia perché ogni bambino ha il diritto di poter crescere nel modo più sereno possibile, ma anche per aiutare i genitori nel riconoscimento e recupero del loro ruolo più importante.

BIBLIOGRAFIA:
F. HARSTON, Children with parents in prison: child welfare policy programs and practice issues, Transaction Publishers, 1998;
B. BLOOM, Children of the incarcerated parents, Lexington Books, New York, 1995;
E. PATRUNO, Mille giorni dietro le sbarre, in Famiglia Oggi.

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