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Il modello ecologico della resilienza: Community Resilience e Terzo Settore

“Non è affatto come pensate, non esiste un dolore meraviglioso. Ma quando la vita ci mette a dura prova, dobbiamo forse arrenderci? E se decidiamo di lottare, quali armi abbiamo a disposizione?Cyrulnik B., 2000

Dal latino resilire “saltare indietro, rimbalzare”, la resilienza è la capacità di resistere, di andare avanti e di fronteggiare adeguatamente gli effetti negativi e stressogeni di una (o più) vicenda(e) dolorosa(e) nonché di ritrovare il livello di adattamento interiore/esteriore al “trauma” stesso.1
Il concetto, mutuato dalla fisica,2 indica la capacità insita negli essere umani di “rimbalzare” ad eventi più o meno stressogeni della propria vita individuale e collettiva: essa è da intendere come quella capacità dell’individuo di riprendersi e di uscire più forti e pieni di risorse dalle avversità sperimentate e subite;3 o, ancora,come processo grazie al quale far fronte, resistere, integrare, costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita, nonostante l’aver vissuto situazioni difficili che facevano pensare ad un esito negativo.4
Due sono le prospettive che approfondiscono il concetto di resilienza: da un lato quella ecologica, dall’altro quella evolutiva.5
Più specificatamente, la teoria ecologica prende in considerazione le molteplici sfere d’influenza in termini di rischio e di resistenza nel corso dell’intera esistenza.6
La famiglia, il gruppo dei pari, l’ambito scolastico o lavorativo, la Comunità, le associazioni di terzo settore ed i sistemi sociali più inclusivi, possono essere visti come un complesso concentrico di contesti in cui si dispiegano le varie competenze sociali utili al fine di aiutare il soggetto, soprattutto se vittima, ad aiutarsi.7
Bronfenbrennerparla, infatti, di un modello ecologico attraverso cui è possibile considerare le caratteristiche individuali come mediate dentro i contesti in cui gli individui negoziano i loro processi di sviluppo.8
Lo psicologo statunitense, in modo più dettagliato, afferma che esiste un modello di interazione “persona-processo-contesto” che modula fortemente lo sviluppo dell’individuo nei contesti di crescita. Non a caso, i fattori protettivi e i fattori di rischio connessi alla presenza di resilienza, possono essere espressione non solo degli individui da un punto di vista più strettamente biologico-genetico ma anche dell’ambiente circostante.9
Già grazie alla teoria dei sistemi di Von Bertanlaffy e delle teorie dei sistemi non lineari di Prigogine e Stengers, l’adattamento individuale è stato ridefinito alla luce dell’insieme dei più ampi processi relazionali, riferiti ai contesti familiari e sociali di appartenenza.10
In un momento storico culturale come quello attuale, in cui è in atto non solo una crisi economica ma soprattutto valoriale, è necessario ripensare, a mio avviso, alla resilienza come comunità ossia come possibilità che le organizzazioni non profit mettono a disposizione e come, dunque, possibilità di solidarietà che trascende ogni tipo di interesse materiale.
Proprio per questo, è fondamentale riflettere sulla Resilience Community come insieme di tutti quei fattori sociali solidali e gratuiti (integrazione e partecipazione attiva nella Comunità di appartenenza, auto muto aiuto, gruppi self help, interventi di promozione del benessere) che permettono all’individuo di poter aumentare la propria autostima e la propria spinta evolutiva in modo da indirizzarla positivamente nel contesto sociale e comunitario allargato.
Gli interventi su base comunitaria sono i più indicati per favorire processi di guarigione in un contesto in cui il soggetto, soprattutto se con vissuti fortemente traumatici, è alla ricerca di rapporti umani positivi e di cambiamenti. Sebbene alcuni individui siano più vulnerabili di altri, nessuno è immune dalla sofferenza causata da esperienze traumatiche in situazioni estreme.
L’approccio clinico della community resiliencerisponde in modo sensibile ai sintomi di disagio accogliendo i ricordi dolorosi, le sensazioni di impotenza e le perdite.
In aggiunta, contestualizza la sofferenza ed espande il focus dell’intervento per identificare e riaffermare le energie e le risorse finalizzandole alla promozione di un’azione dinamica, di un processo di recupero e di adattamento
L’aspetto più rilevante del concetto di resilienza è che, al di là delle strategie di coping o della capacità di superare situazioni difficili (individualmente/collettivamente), l’esperienza traumatica può portare ad una crescita ed un cambiamento positivi.
E’ stato dimostrato che un’evoluzione adattiva post – traumatica è un’espressione concreta e misurabile della resilienza in azione: essa non è una mera capacità di sopravvivenza ma è la forza di evolvere e migliorare in risposta a sollecitazioni esterne.11
In circostanze profondamente tragiche, gli individui mostrano un coraggio ed una comprensione che ritrovano in coloro che sono predisposti al loro aiuto e sostegno.
Kimhi e Shamai definiscono, in particolare, tre elementi comuni ai luoghi in cui sono predisposti cura ed aiuto:
1) tendenza alla resistenza, ossia la capacità della Comunità di assorbire l’impatto negativo ossia le storie e i vissuti traumatici del soggetto – utente;
2) tendenza al recupero, ossia rafforzare positivamente le abilità che il soggetto – utente ha di recuperare dagli stressors;
3) tendenza alla creatività, ossia aumentare le potenzialità creative dei sistemi sociali, in generale, e delle strutture comunitarie, nello specifico, per migliorare nel soggetto il funzionamento psicologico attraverso soluzioni non solo di tipo terapeutico e clinico passivo ma anche mediante attività nuove e stimolanti.12
Kulig si colloca, per esempio, nel terzo filone in quanto definisce la resilienza di Comunità come l’abilità di una Comunità di rispondere efficacemente alle avversità e, nel farlo, di raggiungere un livello di funzionamento psicologico migliore rispetto al punto di partenza.13
Ancora, Tobim e Whiteford riportano, come correnti di ricerca di stampo sociologico, il ruolo terapeutico della crisi a livello di Comunità come catalizzatrice di solidarietà, coesione sociale e senso di Comunità fra gli appartenenti.14
Il soggetto può sperimentare la vicinanza, fisicamente e psicologicamente, ad altri soggetti che hanno conosciuto stessi vissuti, nella possibilità di poter condividere le proprie preoccupazioni e sperimentando il supporto sociale e collettivo.
L’interazione tra fattori sociali può avvenire, più schematicamente, secondo tre diverse modalità:
1)agisce quale “cuscinetto” contro gli effetti negativi del fattore di rischio;15
2)previene l’esposizione ad un dato fattore di rischio;16
3) limita la catena di reazioni negative che contribuiscono allo sviluppo di conseguenze a lungo termine.17
Resilienza di comunità e volontariato, dunque, che propongono alla collettività tutta di condividere, ciascuno per le proprie competenze, tanto i problemi locali quanto quelli globali e, attraverso la partecipazione, di portare un contributo al cambiamento sociale partendo proprio dai singoli disagi.18
In tal modo il volontariato, insieme alla resilienceche esso stesso ha insito, produce legami, beni relazionali, rapporti fiduciari e cooperazione tra soggetti e organizzazioni concorrendo ad accrescere e valorizzare il capitale sociale del contesto in cui opera.19
Il “volontariato resiliente”, diventa un luogo in cui sperimentazione l’altro (non solo come portatore di problematiche ma come soggetto capace di sperimentare condivisioni di emozioni, sentimenti e strategie di coping) e soggetto in grado di agire nel sociale modificandolo secondo una progettualità20 che trova nel “conferire un valore concreto a quella comunità di relazione ed interazione, un necessario correttivo della società globalistica nella quale siamo immersi21

Note:
1 Malaguti E., ‎ CyrulnikB., “Costruire la resilienza. La riorganizzazione positiva della vita e la creazione di legami significativi”, Erickson , 2005.
2 Resilienza come la resistenza a rottura per sollecitazione dinamica di un materiale, determinata con apposita prova d’urto in Dizionario delle Scienze Fisiche (2012) TRECCANI.
3 Walsh F., “La resilienza familiare”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2008, p. 5
4 Malaguti E., Cyrulnik B., “Costruire la resilienza. La riorganizzazione positiva della vita e la creazione di legami significativi”, Centro Studi Erickson, Trento, 2005, p. 10
5 Accumulare indicazioni su fattori di resilienza e fattori di vulnerabilità nello sviluppo al di fuori di una teoria evolutiva seria che tenga conto della complessità delle influenze ambientali non è utile ai fini della ricerca e della prevenzione. E’ necessario, quindi, tenere conto sia di variabili prossimali agli esiti (variabili familiari) sia di variabili distali (socio-culturali) che tuttavia esercitano un’influenza su quelle più prossime. E’, inoltre, necessario individuare le variabili che possono avere un’influenza “moderatrice” sia su quelle prossime che su quelle distali dagli esiti evolutivi. In Lalli N., Ingretolli S., “Il Trauma Psichico: tra Resilienza e Vulnerabilità Psicosomatica e Qualità di Vita”, 11, Firenze, 2007.
6 Bronfenbrenner U., “Ecologia dello sviluppo umano”, Il Mulino, Bologna, 1986.
7 Ibidem.
8 bidem.
9 Garbarino J., “Children and families in the social environment”, N.Y., 1992
10 Bonfiglio Natale S., Renati R., Farneti Pietro M., “La resilienza tra rischio e opportunità. Un approccio alla cura orientato alla resilienza”, Alpes Italia, Roma, 2012
11 Si vedano gli studi di: Tedeschi R. G., Calhoun L. G., “Trauma and Trasformation: Growing in the Sftermath of Suffering”, Sage Publications, Thousand Oaks, CA, 1995; Tedeschi R. G., Park L. C., Calhoun L. G., “The post traumatic growth inventory. Measuring the positive legacy of trauma”, in Journal of Traumatic Stress, 9, 1996, pp. 455 – 471; Calhoun L. G., Tedeschi R. G., “Facilitating Post- traumatic Growth: A Clinician’s guide”, Lawrence Erlbaum Associates, Mahwah, NY, 1999; Linley P. A., Joseph S., “Positive change following trauma and adversity: a review”, in Journal of Traumatic Stress, 17, PP. 11 – 21, 2004.
12 Kimhi S., Shamai M., “Community resilience and the impact of stress: adult response to Israel’s withdrawal from Lebanon”, in Journal of psychology, 32(4), 2004, pp. 52–66
13 Kulig, J. C., “Community Resiliency: the potential for community health nursing theory development”, in Public Health Nursing, 17(5), 2000, pp. 374-385
14 Tobim G. A., Whiteford L. M., “Community resilience and volcano hazard: the eruption of Tungurahua and evacuation of the Faldas in Equador”, in Disaster, 26(1), 2002, pp. 28-48
15 Si vedano: Masten A. S., “Ordinary magic: Resilience processes in development”, in American Psychologist,56, 2001, pp.227 – 238; Masten A. S., Powell J. L., “A resilience framework for research, policy, and practice” in S. S. Luthar (Ed.), “Resilience and vulnerability: Adaptation in the context of childhood adversities”,Cambridge University Press, New York, 2003, pp. 1 – 25; Masten A. S., Burt K., Coatsworth J. D., “Competence and psychopathology in development”, in Cicchetti D., Cohen D. (Eds.), “Developmental psychopathology” John Wiley, New York, 2006, pp. 696 – 738
16 Luthar S. S., Cicchetti D., Becker, B., “The construct of resilience: a critical evaluation and guidelines for future work”, Child Dev, 71, 2000, pp. 543 – 562
17 Ibidem.
18 Cotturri G., “La cittadinanza attiva”, FIVOL, Roma, 1998, p. 28
19 Laville J. L., “L’economia solidale”, Bollati Boringhieri Editore, 1998, pp. 8-10
20 La complessità delle relazioni odierne, ad onor del vero, fa sì che anche le forme di privato sociale debbano inter-agire, scambiare, negoziare con le altre sfere del mondo sociale e questo comporta condizionamenti, vincoli, trasferimenti di norme e mezzi da un dominio all’altro. I rischi di statalizzazione e mercantilizzazione del privato sociale, infatti, sono sempre più forti: le organizzazioni che vogliono perseguire la volontà statuaria ispirata alla gratuità e alla solidarietà possono persistere e rigenerarsi solo mediante un’adeguata riflessività interna all’organizzazione e resilienza che selezionino, fra le diverse modalità, le diverse tipologie di intervento (volontariato, cooperazione, auto-mutuo-aiuto, ecc…).
21 Amerio P., Gattino S., “La solidarietà come risorsa: volontariato e auto-aiuto”, in Amerio P., Psicologia di Comunità, Il Mulino Editore, Bologna, 2000, p. 400

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