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World Social Work Day 2014

Se la parola crisi implica nello stesso tempo separazione e riflessione, dove la crisi frammenta il servizio sociale ricompone.
La ricostruzione, (come ci insegna Dellavalle), è nelle nostre radici e in questa crisi culturale che è anche, come dice Edgar Moren, frammentazione e isolamento dei saperi, il servizio sociale può cogliere la sfida della complessità in quanto disciplina di sintesi che ha in sé la vocazione al pensiero complesso.
Per ricomporre e trasformare ciò che è stato frammentato uno strumento fondamentale è l’investimento nella dimensione del volere. In un momento in cui la progettualità viene offuscata e resa opaca da una forza invisibile che trascina giù, importante è non solo trovare la forza di resistere, ma anche trovare uno strumento per risalire.
Mancano le risorse sì… ma non siamo noi stessi le risorse più importanti? La nostra dimensione del volere si traduce in voglia di legami e voglia di comunità.
Questa voglia di legami si potrebbe concretizzare nell’investimento sulla relazione e sulla comunicazione chiara ed efficace. (Esempio pratico è l’esperienza portata nel WSWD ad Alessandria da una nostra collega nel tirocinio della specialistica, legata ad un progetto per incrementare la presenza fisica nelle sale d’aspetto dei servizi per creare un senso di vicinanza e dare inizio al rapporto fiduciario che si deve creare tra a.s e utente.)
Una buona strategia deve essere quella di sforzarci di spiegare sempre il nostro agire, di spiegare sempre alle persone gli interventi che mettiamo in atto in modo da collocare la sofferenza, per creare una cornice di riferimento all’interno della quale ciascuno può sentirsi riconosciuto.
La cosa più difficile, ma in definitiva la più efficace, come dice Folgheraiter, è quella del cercare di essere CONTENITIVI NELL’INCERTEZZA, e questo nonostante tutto è possibile.
Siamo anche convinti che è seminando relazioni che si raccoglierà partecipazione. Secondo un approccio ecologico, l’agire di un attore porta ripercussioni su tutti gli altri sistemi ad esso interconnessi.
Pensiamo sia importante, ora più che mai, diffondere in maniera virale la cultura della partecipazione, della vicinanza, della rete e della solidarietà, che non hanno un costo in sé, ma che donano invece conoscenza, sensibilità, un ambiente nutritivo e quindi risorse.
Nel periodo di preparazione a questa giornata, ci siamo anche interrogati su quali fossero le possibilità e il senso di avere un ruolo politico come comunità professionale. Diventare quindi parte contraente, nei confronti della politica, a difesa degli ultimi, non a fini autoreferenziali. Farsi garanti di politiche centrate sull’individuo, le sue difficoltà che emergono in momenti di crisi come questi.
Altro aspetto fondamentale è la legittimazione del ruolo professionale dell’assistente sociale che deve partire innanzitutto dal professionista stesso. Non possiamo aspettare che siano gli altri a promuovere la professione dobbiamo essere noi per primi a non comunicare un immagine distorta sia al mondo esterno che al mondo professionale. Ad esempio nei contesti di équipe è necessario credere nel ruolo, portando avanti le nostre idee senza farci sopraffare da professioni che vengono percepite come più forti. Dobbiamo consolidare il rispetto, la valorizzazione e l’integrazione di tutte le specificità professionali.
A tal fine il senso di comunità professionale, in un momento di crisi della professione, deve essere paradossalmente più sentito, non tanto per chiuderci e ancorarci a professionalismi antiquati ma, per discutere insieme a quali situazioni poterci adattare e a quali no, quali istanze promuovere e quali abbandonare.
Termini, scadenze, crisi occupazionale e welfare di mercato, possono scoraggiarci, alienarci alle pratiche e rubare tempo alla riflessività rispetto alle azioni. Eppure prima di essere inseriti nella ingegnosa e, a volte farraginosa, macchina del welfare, esistevano forti speranze e motivazioni che hanno portato a scegliere questa professione rispetto a tante altre: ripartiamo da quella speranza e da quei sogni, non li perdiamo di vista. Questo non vuol dire negare la realtà, ma significa non permettere che l’urgenza del reale e le sue difficoltà ci depauperino la passione verso questa professione.
Come realizziamo tutto ciò? In questo quadro il sapere esperienziale diventa non un sapere di serie B, ma una diversa forma di conoscenza che assume un ruolo centrale. Il servizio sociale è costituzionalmente più flessibile perché da sempre rappresenta il tramite tra conoscenze, servizi e persone differenti. La flessibilità deve costituire un punto di forza rispetto ai cambiamenti tutt’ora in atto, fermi restando i principi e i valori del servizio sociale. E’ essenziale che il dibattito sull’identità professionale rimanga vivo e acceso, al fine di capire dove è possibile intervenire, quali spazi occupazionali nuovi si possono creare e dove. Non può esserci nessun tipo di dibattito sull’identità professionale se non ci impegniamo in una riflessione costante collettiva all’interno della comunità professionale.

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