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L’ultima puntata di un crimine

“Chi semina audience raccoglie panico”. Mi colpiscono queste parole di Fred Vargas nel volume “ Parti presto e non tornare”.
Accendo il tasto della televisione e appare l’ennesimo dibattito su uno dei tanti eventi spiacevoli che accadono nel nostro Paese. Questo perché ormai, violenze, omicidi e aggressioni (fisiche e virtuali) divengono sempre più parte delle nostre vite come se si trattasse quasi di reality show, dimenticando che dietro a ciascun singolo episodio vi è la sofferenza di un essere umano.
L’Italia in fondo è il paese che si presta bene a ciò: ivi è nata l’antropologia criminale nonché vi è una nutrita tradizione in ambito letterario, che riflette sulle problematiche sociali, investiga sugli scandali pubblici e trae ispirazione da crimini reali.
È la televisione però, che possiede un ruolo fondamentale nel costruire l’immagine collettiva italiana.
Polidoro sostiene che vi è “il caldo conforto, davanti alla televisione, di essere per questa volta scampati agli orrori del mondo”. Siamo affascinati da ciò che turba la quotidianità, vedendolo come qualcosa che non ci può toccare. Ci fa paura ma allo stesso tempo crea un enorme fascino.
I programmi mediatici pongono la loro attenzione, molte volte eccessivamente, verso le prove scientifiche. Le serie americane contribuiscono ad alimentare i sogni degli spettatori riguardo le forme più tecniche di reperimento di prove o indizi, costruendo spesso castelli in aria sulle dinamiche, ma anche mitizzando le aspettative verso la scienza socio-criminologica.
Il secondo punto di rilievo si sostanzia nel fatto che tutto questo eccesso mediatico consente la costruzione di un sentimento pubblico melodrammatico. Le notizie hanno un fine manipolatorio, ovvero quello di attirare lo spettatore, escludendolo dalla vera informazione.
Per molti programmi televisivi è sicuramente più facile discutere dei “cold case”, cioè i casi non ancora risolti, più interessanti rispetto a quelli su cui è stata posta la parola fine.
Succede così che lo spettatore si ritrova emotivamente coinvolto in questi delitti, nonché sempre più incuriosito nel ricevere nuovi aggiornamenti sul caso, come se fosse una puntata di una qualunque serie tv.
Come scrive Alessandra Calanchi, “la serializzazione, un tempo strategia letteraria appartenente ai domini della letteratura e del cinema, viene ora applicata alla realtà: e più a lungo un mistero rimane, meglio è”.
Tutto questo spinge lo spettatore ai limiti del voyeurismo, ponendo l’accento verso le parole dei parenti delle vittime (anche quelli che non avevano più rapporti), agli amici di amici, al prete della parrocchia, al benzinaio di fiducia ecc, meglio se piangono in diretta o forniscono nuove rivelazioni.
Il ritmo di presentazione delle notizie, o dei singoli casi, è molto rapido, accompagnato da primi piani e musiche adatte a creare il giusto effetto. Agli esperti è concesso un tempo davvero esiguo di parola, quando invece rappresentano l’essere portatore di informazioni.
I punti espressi in detto articolo non vogliono ledere l’immagine di ciascun programma televisivo che si occupa di delitti o vi fa riferimento. Vuole solo porre l’accento sul fatto che determinati fatti sociali non hanno il diritto di essere trattati come se fossero semplici puntate di una serie in prima serata, ma devono tenere conto delle persone coinvolte, in primis la vittima di reato, che deve essere ricordata e non strumentalizzata, ma anche l’autore di reato, verso il quale la giustizia dovrà procedere quando vi sarà un giudizio definitivo, così come le persone care che ruotano intorno a loro, perché, per motivi differenti sono però accomunate dalla sofferenza dell’accaduto.
Tutte le persone, compresi noi professionisti del settore, siamo quotidianamente spettatori. Ciò che ci differenza dall’osservatore comune è la posizione privilegiata con cui guardiamo la sofferenza, ovvero dal vivo.
Per cui è nostro dovere, ogni tanto, premere il tasto off del televisore, esortando con ogni mezzo ad un’informazione sociale che rispetti la vera notizia e la dignità delle persone coinvolte.

Bibliografia

Alessandra Calanchi, “ Criminalità, crime fiction e manipolazione mediatica”, 2011
Alfredo Verde, Cristiano Barbieri, “Narrative del male. Dalla fiction alla vita, dalla vita alla fiction”, 2010

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