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Violenza assistita e violenza di genere: due facce della stessa medaglia

In Italia, sono oltre 91mila i minorenni maltrattati seguiti dai Servizi Sociali su un totale di 457.453 bambini.1
Quest’ultimo rappresenta uno dei principali dati contenuti nella prima “Indagine nazionale sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in Italia” condotta da Terre Des Hommes e Cismai per l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, con la collaborazione e il supporto di ANCI e ISTAT, pubblicata il 15 maggio scorso.
Un documento d’inestimabile importanza che rivela quanto sia diffuso a livello nazionale il fenomeno del maltrattamento sui minori, scattando una fotografia che si differenzia fra Nord e Sud dello stivale2 e che richiama, purtroppo, altre configurazioni di violenza.
Fra le forme più ricorrenti di maltrattamento troviamo, in particolare: la trascuratezza materiale e/o affettiva (47,1% dei casi seguiti), la violenza assistita (19%) e il maltrattamento psicologico (14%).
Direttamente o indirettamente, dunque, il minore può divenire “protagonista” di violenze e soprusi. Spesso non da solo. Tale modalità di maltrattamento si accompagna, infatti, alla violenza assistita perpetuata nei confronti per lo più della propria madre.3
Il recente Global Status Report on Violence Prevention 20144, pubblicato l’11 dicembre 2014 dalla WHO ha evidenziato, infatti, che a livello globale 1 donna su 3 è stata vittima di violenza fisica o sessuale perpetrata dal proprio partner. Questo dato è ulteriore indicatore di un generale quadro di soprusi le cui vittime sono non solo le donne ma anche (e soprattutto) i minori che assistono alla violenza.
Per violenza assistita di minori in ambito familiare s’intende, nello specifico, secondo la definizione del CISMAI: “il fare esperienza da parte del/lla bambino/a di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulte e minori. Si includono le violenze messe in atto da minori su altri minori e/o su altri membri della famiglia, e gli abbandoni e i maltrattamenti ai danni degli animali domestici. Il bambino può fare esperienza di tali atti direttamente (quando avvengono nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il minore ne è a conoscenza), e/o percependone gli effetti”.
Nell’ambito della violenza assistita occorre, dunque, distinguere anche i casi in cui il bambino fa esperienza diretta della violenza, quando obbligato a vedere, o indiretta, quando ne è messo al corrente o ne percepisce gli effetti negativi: dalla piccola violenza quotidiana come può essere una lite tra genitori, alle forme più gravi e ripetute, che provocano nel bambino effetti molto gravi, a volte anche paragonabili alle conseguenze degli abusi.5
Chiaramente tali esperienze sfavorevoli hanno sui minori numerose conseguenze: si innesca il senso di colpa legato alla condizione che si è creata nell’ambito familiare ossia un clima di incapacità di riposta e di sofferenza ciclica.
E’ anche evidente, infatti, che quando le scene di violenza si ripetono nel tempo, lo stesso benessere psico-fisico, intellettivo e lo sviluppo individuale e sociale del bambino ne risultano seriamente compromessi, sia durante l’adolescenza che nell’età adulta.
Inoltre, la violenza assistita può avere come conseguente più immediate quali stress, depressione, ridotte capacità empatiche, difficoltà scolastiche, bassa autostima, svalutazione di sé.6
Sul lungo periodo, essa aumenta il “rischio della riproducibilità”, ossia di sviluppare comportamenti violenti in età adulta, assumendo la violenza come legittimo strumento relazionale, cosa che avviene soprattutto nei rapporti di coppia.7
Ed è proprio qui che si inserisce il discorso sulla violenza assistita quale elemento connesso e conseguente alla violenza di genere.
Non a caso, può succedere che nel minore scatti il cosiddetto “meccanismo di identificazione” con il soggetto violento, meccanismo mediante il quale viene data dignità al genitore violento, “dipingendolo” come buono.8
Accade che il minore introietti in sé le colpe dell’adulto violento in modo tale da poter vivere il proprio padre (o la propria madre) come “bravi genitori”.9
Questo meccanismo di difesa, è attuato nell’estremo tentativo di difendersi dalla situazione drammatica, nella speranza di poter cosi sopravvivere al trauma subito.
Se da bambino si sperimenta un clima di violenza e maltrattamento, sia diretto che indiretto come nel caso della violenza assistita, questi diventerà presumibilmente un adulto abusante e maltrattante nei confronti della propria compagna e verso i figli.
L’ipotesi elaborata da Bowlby, sulla base di un modello psicoanalitico fortemente influenzato dai contributi dell’etologia, parte dall’interpretazione della rabbia funzionale per arrivare alla spiegazione di quella disfunzionale. Se espressa nel luogo e nel momento opportuno, l’autore sostiene che il comportamento di rabbia sia una risposta idonea a mantenere e a proteggere quei rapporti specifici e vitali per l’individuo, quali il rapporto sessuale con un partner, quello con i propri genitori e quello con il figlio.10
La violenza sulla prole e tanto più sul partner sarebbero espressione, in questa prospettiva, di una modalità inadeguata e patologica di manifestare la rabbia e la preoccupazione, le quali nascono dal timore o dalla separazione.11
La violenza, ancora, quale espressione di potere e di controllo sembra riguardare l’abilità di imporre sull’altro volontà, desideri e necessità. A tal proposito alcuni autori argomentano che la violenza assistita diventa elemento auto-rinforzante in quanto intesa come modalità atta ad ottenere risultati e manipolare gli agenti familiari.12
Se analizziamo queste indicazioni13, possiamo osservare che il genitore maltrattante reagisca con rabbia, ansia, ostilità e violenza non solo a causa delle sue esperienze passate ma anche perché non percepisce il valore reale delle sue azioni patologiche le quali influiscono, come si vedrà nel corso della vita adulta, sullo sviluppo psico – fisico del bambino.
Tutti i membri della famiglia, non escluso il minore, diventano così ugualmente prigionieri di un gioco disfunzionale nel quale non possono evitare di giocare un ruolo attivo.14
Violenza assistita e violenza di genere rappresentano, dunque (purtroppo), due fenomeni altamente complessi che si intersecano l’uno all’altro. In tal senso, gli sforzi da parte delle agenzie istituzionali pubbliche e private dovrebbero essere rivolti proprio allo studio di tali meccanismi alla luce di prospettive integrate e multifattoriali in modo da progettare interventi preventivi e proattivi.

NOTE
1- L’indagine ha coperto un bacino di 2,4 milioni di popolazione minorile residente in Italia, con la partecipazione di 231 Comuni italiani.
2- Nella ricerca si evince, infatti, che i minori presi in carico per maltrattamento sono più numerosi al Sud e al Centro (rispettivamente 273,7 e 259,9 ogni mille) contro i 155,7 casi al Nord e che per lo più sono a rischio le bambine e gli stranieri.
3- Nello specifico, la relazione violenta nelle famiglie abusive, così come dimostra la letteratura psicologica, è caratterizzata dal fatto che gli uomini sono più propensi ad usare calci, a strattonare o picchiare, mentre queste ultime, “wife beating” or “battered woman” (moglie picchiata o donna battuta) più frequentemente si ritrovano nel ruolo di vittime. In Renzetti C. M., Kennedy Berge R., “Violence against women”, Rowman & Littlefield Publishers, Oxford, 2005, p. 243
4-WHO, Global Status Report on Violence Prevention 2014, Geneve, 2014
5- Da OsservatorioPedofilia.gov.it
6- Ibidem.
7- Ibidem.
8- CHEMAMA, R., VANDERMERSCH, B. (1998), Dizionario di Psicanalisi, tr. it. Gremese Editore, Roma, 2004
9- Ibidem.
10- Bowlby J., “Una base sicura”, Raffaello Cortina, Milano, 1989.
11- E’ stato dimostrato dallo stesso Bowlby che i genitori violenti sperimentavano rabbia e aggressività verso i propri figli perché avevano a loro volta vissuto situazioni di ripetute minacce di abbandono dalla propria famiglia d’origine. Ibidem p.27
12- De Turck, M. A. (1987), When communication fails: Physical aggression as a compliance-gaining strategy, Communication Monographs, 54 (1), 106-112
13-Non esaustive chiaramente ma sufficienti a dare un’idea del fenomeno.
14- 10° Rapporto Nazionale sulla Condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza (fonte Eurispes 2010).

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