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Essere assistenti sociali: so essere, so fare, conosco!

La professione dell’assistente sociale, inizia a svilupparsi in Italia nel pieno Novecento. Il pieno riconoscimento del titolo di A.S. si ebbe tra il 1980 e il 1990; nel 1993 viene istituito Albo Professionale di Stato e recentemente nel 2000 viene alla luce il corso di laurea triennale e specialistica in scienze del servizio sociale. Questo piccolo excursus storico deve farci comprendere, come con il trascorrere del tempo, la figura professionale dell’assistente sociale subisce modifiche notevoli e trasformazioni che la pongono verso il raggiungimento di uno status riconosciuto da tutti, ma che ha ancora oggi bisogno di maggiori consensi e maggiore rispetto; compito arduo, a cui sono chiamati a rispondere tutti i studenti del corso di scienze del servizio sociale, che devono imprimere alta dignità teorica e pratica alla professione con competenze e responsabilità; ma non impossibile.
Chi è un assistente sociale?
La professione non gode sempre nell’immaginario collettivo delle persone, il giusto ruolo svolto.
Iniziamo con il definire l’A.S. come un professionista nel campo del sociale; essere un professionista significa avere un bagaglio di conoscenze teoriche, pratiche che permettono di affrontare le diverse realtà con consapevolezza di ciò che si fa. Il professionista è colui che conosce, sa fare e sa essere; ugualmente un assistente sociale deve essere, deve conoscere per poter saper fare.
Le conoscenze teoriche apprese dalla letteratura vigente, permettono di avere consapevolezza di ciò che si fa; il saper essere invece risponde a un bisogno di natura interiore, o meglio risponde alla capacità che ogni assistente sociale dovrebbe avere: applicare il codice deontologico in ogni relazione con l’utente in ottemperanza dei valori della professione.
Tra i valori cardine annovero l’empatia, il rispetto dell’altro, la tutela della dignità umana e la ricerca dell’uguaglianza sociale.
Tale definizione ci permette di paragonare l’A.S. a un professionista come altri: avvocati, dottori, psicologi; niente di più, niente di meno. Il campo in cui egli si muove è il sociale, cioè con singole persone, gruppi, comunità. La sua mission è promuovere il cambiamento sociale, il processo di soluzione dei problemi nelle relazioni umane, l’empowerment e la liberazione delle persone per accrescerne il benessere. L‘obiettivo ultimo è accrescere il benessere di coloro i quali hanno bisogno, e quando parliamo di benessere parliamo di ciò che l’OMS nel 1948 definisce salute: benessere fisico-sociale-biopsichico. Ruolo non indifferente, che ha responsabilità simili a quelle di un dottore o a quelle di uno psicologo.
ESSERE assistenti sociali non è da tutti, poiché l‘assistente sociale è un abitus, ossia un modus essendi, un modo d‘essere, un modo di pensare, che si rivolge sempre agli altri, anche nelle vicende personali l’io è l’altro!
Pertanto secondo le mie umili considerazioni, credo che i veri assistenti sociali abbiano una vocazione quasi innata a svolgere questa professione che tutti sottovalutano; l’errore di sottovalutazione viene da me enfatizzato poiché il servizio sociale professionale grazie alla legge quadro 328/2000 è espressa come un articolo di legge; per di più occorre ricordare a tutti che è proprio un articolo costituzionale ad essere portavoce del bisogno in casi specifici di un assistente sociale: ART 38 “OGNI CITTADINO INABILE AL LAVORO E SPROVVISTO DEI MEZZI NECESSARI PER VIVERE HA DIRITTO AL MANTENIMENTO E ALL’ASSISTENZA SOCIALE”. L‘assistenza sociale si esplicita sia in forma pubblica o privata. Si tende sempre a valutare le professioni in base al prestigio retributivo, e non in base ai veri valori che la vita offre. I valori innegabili di un assistente sociale come accennato prima sono la dignità umana, l’uguaglianza e quindi il principio di non discriminazione, per questo l’aspetto economico è meno importante, perché l’obiettivo principale è rendere l’altro migliore attraverso un processo di cambiamento a cui lui stesso partecipa e cercando di cambiare anche lui, dove ciò che conta è la PERSONA.
La professione vive della natura relazionale.
In vena poetica e in modo orgoglioso parafrasando Pascal si evince il grande compito che ogni assistente sociale è chiamato ad adempiere. Pascal diceva che “solo l’uomo che sa di essere miserabile è un grande uomo”, cosi noi per estensione diciamo che solo una professione che ha a che fare con le miserie umane è una grande professione.
In conclusione, cercherò di accostare il lavoro dell’assistente sociale ad una metafora per comprendere il vero senso del nostro lavoro (meglio futuro lavoro, se l’avremo…).
Esistono delle difficoltà quotidiane, con cui ognuno di noi deve vivere o meglio convivere; esistono persone che quotidianamente, (familiari e non) ci aiutano nel superare tali difficoltà o meglio a fronteggiarle. Esistono dei strumenti, degli oggetti, che possono essere sfruttati per far fronte al deficit che la vita presenta. Immaginiamo una persona, con problemi ad una gamba quali difficoltà debba avere se non avesse con lei una stampella che l’aiuti a camminare; ecco soffermiamoci sulla stampella, è un appoggio uno strumento su cui mantenersi, fare leva per effettuare un passo, due o tre….
Paragono la nostra professione ad una stampella, su cui tutti possono far leva, nel caso del bisogno, ma dove occorre imprimere la forza giusta per appoggiarsi; ciò significa che la stampella deve essere forte, arricchirsi sempre di materiale più solido per dare sicurezza (conoscenze, capacità relazionali e altro…), ma su cui c’è bisogno della forza della persona in difficoltà per compiere il passo desiderato. Un assistente sociale senza la motivazione dell’utente è come un sacerdote senza fedeli al seguito; non potrà celebrare messa.
Gli assistenti sociali sono un appoggio per tutti, ma hanno bisogno della volontà e motivazione degli utenti per esplicitare al meglio la propria attività; non sono maghi, tuttologi o ladri di bambini, sono dei professionisti che hanno bisogno di crescere professionalmente con l’impegno e fiducia da parte di tutti.

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