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Strumenti e tecniche di relazione per assistenti sociali e operatori che lavorano con l’utenza migrante (4° parte)

Nella relazione interculturale uno degli aspetti che spesso rischia di non emergere agli occhi della comunità professionale è la capacità di resilienza e di autodeterminazione delle persone migranti, scarsamente individuate e/o valorizzate, nonostante siano presenti, in quanto confuse se non addirittura sostituite con concetti di sottomissione, arretratezza o maleducazione perché inconsciamente i gesti o le parole utilizzate d’impatto urtano le sensibilità e le certezze proprie.
Pertanto l’assistente sociale deve attrezzarsi con una doppia griglia di lettura dei problemi: quella delle appartenenze culturali e quella delle strategie di adattamento, uniche in ogni persona.
Ciò è possibile avvalendosi della collaborazione di un mediatore linguistico e interculturale creando una specifica relazione d’aiuto a più soggetti.
Il mediatore è un facilitatore della comunicazione tra il professionista e il migrante, creando un vero e proprio ponte linguistico, culturale e relazionale tra gli attori coinvolti. Il mediatore non interpreta ma favorisce il dialogo tra l’assistente sociale e il migrante acquisendo informazioni per poi trasmetterle.
L’esperto della lingua e della cultura è sempre e solo il migrante; il mediatore ha il compito di connettere le risorse dell’assistente sociale, del migrante e del servizio assumendo una posizione di neutralità evitando di diventare un complice dell’utente ma creando un’alleanza funzionale alla costruzione di una relazione d’aiuto interculturale basata sulla fiducia tra tutti i soggetti coinvolti.
Favorire la comunicazione non vuole dire semplificare la relazione, al contrario sottintende la complessità insita nella realizzazione della relazione stessa, in quanto il mediatore ha il compito di mettere in luce le zone d’ombra dovute alle differenze culturali e linguistiche degli attori coinvolti.
Nello specifico deve mediare le aspettative del migrante attraverso l’interazione linguistica finalizzata all’incremento delle informazioni a nuovi elementi. Il migrante deve negoziare i concetti acquisiti in origine, appartenenti alla propria cultura attraverso la conoscenza e la comprensione dei modelli culturali e sociali del paese d’arrivo, fornito proprio dal mediatore. Il non ascolto è solo dettato dalla paura, poiché l’altro diventa un diverso incomunicabile, ma se non c’è interazione, comunicazione, non c’è cambiamento.
Etimologicamente “comunis” vuol dire mettere insieme (da “cum munis”, ovvero avere un dono comune, dunque uno scambio). Comunicare attraverso le culture implica una conoscenza approfondita dell’altro, oltre l’interculturalità, nella transculturalità.
Costruire una società altra/ nuova è difficile non impossibile, in virtù di una comune appartenenza alla comune specie umana. Il processo di cambiamento culturale è molto lento e lungo ma graduale che produce mescolanza e meticciamento, attraverso il saper cogliere l’incompletezza biologica dell’essere umano come sorprendente forza della specie umana in quanto i nostri “vuoti” possono essere colmati proprio con la comunicazione (costruire la propria umanità, fare umanità, umanizzare).
L’assistente sociale può costruire una relazione d’aiuto interculturale caratterizzata dall’imprescindibile lavoro su se stessi come persona e come professionista (decentramento), entrando nel quadro di riferimento dell’altro (penetrazione) al fine di dare un senso reciproco alla relazione (negoziazione/mediazione):
1) decentramento: conoscere se stesso e la propria identità sociale e culturale permettendo di far emergere la relatività dei propri punti di vista. L’altro assume il ruolo di rivelatore di noi stessi, una sorta di specchio che riflette le norme e i valori. Le tecniche di decentramento sono: la capacità di sedimentare, la riflessione sul proprio vissuto e la conoscenza dei propri schemi mentali;
2) penetrazione: appropriarsi della cultura dell’altro in un approccio empatico, rivolto al profondo, attraverso gli occhi dell’altro, esige un’attitudine all’apertura, uno sforzo personale di curiosità (Douyon, 1988). Ma come ci si può appropriare della cultura dell’altro o, più modestamente, fare delle osservazioni partendo dal punto di vista dell’altro? Le modalità più appropriate sono: il porsi delle domande, l’ascolto, passare dalle parole ai gesti e sospendere il giudizio;
3) negoziazione/mediazione interagire assicurando una serie di scambi per giungere ad un minimo di accordo, una sorta di compromesso su un terreno comune al fine di evitare il conflitto e, nel contesto dell’azione sociale, di evitare la violenza simbolica nella quale uno dei protagonisti impone il proprio codice all’altro, sia in un processo diassimilazione che nega l’altro così com’è, sia adottando un atteggiamento indifferente.
Il Servizio Sociale deve attivarsi nella creazione di un sistema coordinato di servizi e interventi che sostenga forme di apertura e di advocacy affinché si lavori in maniera integrata e coesa sensibilizzando il territorio attraverso la creazione di spazi di interculturalità attivando la partecipazione di interlocutori che rappresentano le diverse comunità di migranti al fine di sviluppare iniziative di empowerment, favorendo l’aggregazione, lo scambio e il protagonismo.
Il benessere di ciascuna persona è libertà, responsabilità, inclusione sociale, dignità, capacità di fare delle scelte. Occorre pertanto riconoscere a tutte le persone il diritto di contribuire in modo attivo al benessere proprio e del contesto in cui vivono attraverso la costruzione di un nuovo welfare caratterizzato dal principio di sussidiarietà circolare.
La più semplice e tradizionale logica di sussidiarietà orizzontale appare non più sufficiente in quanto non favorisce la partecipazione attiva di tutti i soggetti, essenziale per la costruzione di sinergie multi-livello di co-produzione, co-progettazione e co-gestione che riattivino pratiche di reciprocità al fine di produrre contemporaneamente valore sociale, economico generando sviluppo e rigenerando capitale sociale (We.Ca.Re., 2015).
Da sempre l’uomo si muove, si sposta e viaggia alla ricerca di condizioni di vita migliori spinto perlopiù da fattori di tipo economico e politico. Sostenere che l’emigrazione sia dovuta solo a una fuga dalla fame e dalle sofferenze è un’affermazione riduttiva poiché il fenomeno migratorio è un’apertura verso il futuro, è un tentativo di aprirsi una strada percorsa da soluzioni nuove.
L’assistente sociale deve mettersi in gioco partecipando in prima persona alla vita di comunità favorendo all’interno di essa la costruzione di ponti. Far riscoprire i valori di solidarietà, prossimità, vicinanza e il calore umano della relazione. Solo grazie al dialogo è possibile incontrarsi, e solo grazie all’incontro è possibile riconoscersi uguali in quanto persone aldilà delle connotazioni fisiche o della nazionalità di appartenenza. Siamo esseri umani, persone accomunate dalla volontà di vivere la propria vita al meglio.
Il processo di cambiamento culturale è certamente lento e graduale ma produrrà mescolanza e meticciamento attraverso il saper cogliere l’incompletezza biologica dell’essere umano come sorprendente forza; i “vuoti” possono essere colmati proprio con la comunicazione (da “cum munis”, ovvero dono comune, scambio, mettere insieme).
Ciò che occorre è la volontà di costruire una comunità unita, plurale, arricchita dalle sue sfumature. Ovviamente non si possono avere tutte le risposte ma occorre imparare a porsi le giuste domande.

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