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Sfumature del vissuto quotidiano dei minori: un terreno minato, tra devianza e rischio di criminalità. La prevenzione ed i processi di inclusione sociale (IV parte)

Formazione culturale e possibili problematiche
Vengono presi in esame la formazione culturale e la formazione sociale.
Per formazione culturale vogliamo intendere tutte le relazioni che incidono nello sviluppo cognitivo-morale del minore nel quadro di ogni ambiente culturale che il minore frequenta. Formazione culturale allora è formazione alla cultura e della cultura. In tal senso per cultura intendiamo “l’insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha acquisito attraverso lo studio e l’esperienza, rielaborandole con un personale e profondo ripensamento, così da convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della sua personalità morale, della sua spiritualità e del suo gusto estetico, e, in breve nella consapevolezza di sé e del proprio mondo.1” Il tutto collegato alla crescita complessiva del minore (intellettuale, spirituale ed anche fisico-corporea) e alla formazione-educazione culturale. Gli ambienti formativi che possiamo considerare primari sono la famiglia e la scuola, ma un’attenta considerazione meritano altri tre importanti contesti sociali: i gruppi di riferimento, le società sportive e le comunità religiose.
Ci siamo soffermati analizzando il gruppo di pari (gli amici). Il ragazzo trova al suo interno una delle occasioni fondamentali di emancipazione dal controllo e dall’influenza degli adulti. La ricerca di autonomia è caratterizzata talvolta anche da forme conflittuali. La ricerca di sicurezze emotive e le instabilità portano i ragazzi e le ragazze a riporre la loro fiducia in una dimensione individuale (la presenza dell’amico/dell’amica del cuore) o collettiva (la compagnia del bar, della discoteca e della scuola). Esempi sono le “bande” o gang minorili che giungono a livelli preoccupanti di pura delinquenza, grave e gratuito vandalismo, crudeltà. Affondano le proprie radici nelle carenze formative ed educative da parte delle famiglie, della scuola e nell’irresponsabilità culturale dei mass-media. Caratteristiche principali: condivisione di abitudini e di consuetudini, modo di vestirsi, azione di certi atteggiamenti violenti ed uso di un tipo di linguaggio con significato condiviso dai membri del gruppo.
Oppure nella scuola il fenomeno del bullismo è inteso come forma di oppressione e di prevaricazione, compiuta da un adolescente (il bullo) nei confronti di un suo pari più debole (la vittima), che sperimenta una condizione di profonda sofferenza e di grave svalutazione dell’identità. Questo fenomeno include i comportamenti del bullo, quelli della vittima e anche di chi assiste (gli osservatori). Esistono due tipologie: il bullismo diretto (attacchi espliciti nei confronti della vittima, può essere di tipo fisico o verbale) ed il bullismo indiretto (danneggia la vittima nelle sue relazioni con le altre persone, attraverso atti come l’esclusione dal gruppo dei pari, l’isolamento, la diffusione di pettegolezzi e calunnie sul suo conto, il danneggiamento dei suoi rapporti di amicizia). Quali sono le caratteristiche del bullismo?
– I protagonisti sono sempre bambini o ragazzi, in genere in età scolare, che condividono lo stesso ambiente, appunto la scuola;
– gli atti di prepotenza, le aggressioni o le molestie sono intenzionali, cioè sono messi in atto dal bullo (o dai bulli) per provocare un danno alla vittima o per divertimento;
– c’è persistenza nel tempo, cioè le azioni dei bulli durano per settimane, mesi o anni e sono ripetute;
– c’è asimmetria nella relazione, cioè uno squilibrio di potere tra chi compie l’azione e chi la subisce (ad esempio per ragioni di età, di forza, di genere e per la popolarità che il bullo ha nel gruppo di suoi coetanei);
la vittima non è in grado di difendersi, è isolata e ha paura di denunciare gli episodi di bullismo, perché teme vendette.
Formazione sociale
Parlando di formazione sociale, l’appartenenza al gruppo comporta, per ogni membro, la dimostrazione costante della propria fedeltà, determinando quei fenomeni di conformismo e di contagio che caratterizzano i gruppi adolescenziali. La devianza è una categoria socio-psicologica, che fa riferimento a tutte quelle forme di trasgressione alle norme e alle regole di uno specifico contesto di rapporti interpersonali e sociali. In particolare, l’analisi del percorso di devianza ha consentito di individuare tre fasi principali del fenomeno di devianza minorile e dell’agire di gruppo: inizio, prosecuzione, orientamento verso la stabilizzazione o, al contrario, interruzione della carriera.2
– L’inizio è caratterizzato da elementi quali “l’occasione favorevole”; la suggestione dei vantaggi e delle gratificazioni che si presume di poter ricavare da certi atti in termini di apprezzamento da parte degli altri e di potenziamento delle relazioni interpersonali; il senso di sfida che accompagna ogni trasgressione; l’autoefficacia percepita attraverso il comportamento trasgressivo.
È spesso “per caso” che si inizia, tenendo conto che non si tratta di un agire premeditato ma deciso nell’immediatezza del presente. In questa fase il gruppo assume un’importante funzione: è lo specchio delle proprie immagini; diventa lo strumento fondamentale della conferma di sé; il luogo che accoglie, riduce o amplifica i modi di ciascuno di giocare con la realtà delle cose e delle relazioni. Il gruppo allora è un guscio protettivo, in grado di fornire giustificazione e convalida ad uno stile deviante di vita.
– La prosecuzione comporta la scoperta dei vantaggi strumentali e, in particolare, il riconoscimento, da parte degli altri, del proprio saper fare nella devianza.
Il minore inizia a considerare le proprie competenze nel settore ed a ricavarne vantaggi economici e, il più delle volte, morali. Assapora la soddisfazione dei risultati in occasioni che si fanno sempre più frequenti e che hanno come risultato la stabilizzazione della condotta deviante.
– La stabilizzazione le aspettative degli altri tendono a monodirezionarsi, le richieste e le proposte di azione si orientano a valorizzare la competenza acquisita nella devianza. La persona stessa le riconosce e le utilizza nell’agire trasgressivo mentre, contemporaneamente, sente o teme di non sapere fare altro.
A fronte spesso di molti insuccessi in altre aree di attività (a scuola, in famiglia, in sistemi relazionali ad alta conflittualità), la persona si trova a vivere con esito amorevole un luogo, quello della trasgressione penale che appare più semplice ed immediato, dove esiste il confronto tra le attese degli altri, le sfide proposte e le proprie capacità di gestione. Il risultato è il riconoscimento di sé, in proprio e da parte degli altri, come di persona capace.
– L’interruzione è una soluzione più volte presa in considerazione dai ragazzi, ma che comporta situazioni di problematicità tali da renderne difficile, se non impossibile, la realizzazione. Di conseguenza, l’esito del percorso di devianza è, frequentemente, quello della sua stabilizzazione.
Può essere interessante soffermare l’attenzione su quegli aspetti della vita di gruppo adolescenziale che maggiormente contribuiscono al passaggio degli impulsi violenti dallo stato di fantasia a quello di comportamenti agiti. La banda (già affrontato nella formazione culturale, simbolo pure nella formazione sociale) è intesa come “aggregazione patologica” di gruppo, basata su meccanismi di coesione, se non di fusione, che rispondono al bisogno di sostenere le proprie frustrazioni, paure o ansie, grazie alla condivisione con quelle degli altri membri del gruppo, mediante l’identificazione. Il passaggio all’azione risulta quindi un atto liberatorio e purificatorio. Lo strumento di azione è la violenza e diventa un messaggio che realizza il bisogno di riconoscimento del gruppo in pubblico, ed è letta come uno dei mezzi possibili per catturare l’attenzione dell’adulto.
Le tipologie dei reati commessi (letti come le azioni violente delle bande) sono differenti, a seconda del contesto sociale di appartenenza del minore. La stampa riporta il fenomeno della devianza minorile di gruppo come più diffuso fra i ragazzi appartenenti al ceto sociale medio borghese. Costoro compiono principalmente reati di violenza contro la persona e, in seconda azione, rapine o furti finalizzati alla ricerca di oggetti status symbol (cellulari, giubbotti, materiale tecnico, ecc.). Negli ultimi anni, è andato crescendo l’allarme per reati compiuti da minori che, in gruppo, lanciano sassi dal cavalcavia, entrano in appartamenti nei quali sono in corso feste private di coetanei compiendo atti di vandalismo e sottraendo oggetti di valore, oppure commettono abusi sessuali. Proprio quello degli abusi sessuali rappresenta, da qualche tempo, il reato più frequentemente praticato dalle bande minorili, in concomitanza e forse anche per effetto di una serie di radicali cambiamenti, intervenuti recentemente nel rapporto tra i due sessi e dei modelli di comportamento proposti dai mass-media.
Il gruppo di coetanei viene anche chiamato aggregazione criminale: nella fase adolescenziale, essa rappresenta un sistema di transizione che conduce il minore o il giovane verso la maturazione di un “io”, all’interno di un determinato ambito culturale. Il gruppo è dunque il collegamento che determina il passaggio dall’infanzia all’età adulta e quindi dalla famiglia alla società. Il giovane (minore o non) attraverso il gruppo, sviluppa il senso di accettazione all’interno della società, specie per soggetti socialmente deboli provenienti da contesti culturali limitanti e psicologicamente fragili. Il gruppo può dunque spesso sfociare in un comportamento antisociale e costituisce, in genere, un episodio transitorio anche se, in alcuni casi, esso può rappresentare la prima fase di un processo il cui esito è la stabilizzazione della devianza.
Espressione del fenomeno di devianza minorile e dell’agire di gruppo sono le organizzazioni criminali. Alla sua base c’è la criminalità: intesa come manifestazione complessiva di varie azioni criminose, caratterizzate da elementi di tipo qualitativo e quantitativo, assunta anche come campo di studio in relazione ad alcuni parametri (numerosità delle azioni criminali in rapporto alla popolazione totale o ad un certo territorio e loro andamento nel tempo) o in rapporto a determinate tipologie (le caratteristiche degli attori e delle vittime). Per comprendere il significato di criminalità minorile, occorre distinguere tre differenti tipologie.
– Una criminalità minorile fisiologica: intesa come una condotta deviante che spesso è destinata a riassorbirsi con l’ingresso dei giovani nell’età adulta.
– Una criminalità minorile patologica endemica: che si concretizza nel momento in cui un minore viene coinvolto nella criminalità organizzata.
– Una criminalità minorile patologica epidemica: relativa ai minorenni stranieri residenti nel nostro paese.
Risulta allora estremamente riduttivo ed errato ritenere la criminalità quale semplice espressione di fattori biologici innati o acquisiti dall’individuo, in quanto ricorreremo ad escludere qualsiasi responsabilità da parte di una società abbondantemente ricca di contraddizioni, oppure quale espressione conseguente dei mali e delle ingiustizie dell’organizzazione sociale. Il delinquente risulterebbe solo una vittima, senza che gli venga riconosciuta alcuna responsabilità della scelta e delle decisioni da assumere per caratterizzare la sua condotta. L’ambiente socio-culturale in cui avviene la maturazione del minore incide sulla formazione di un eventuale comportamento antisociale.
Non si può solo parlare di devianza minorile, di disagio minorile e di questo complesso di rapporto; della violenza, nelle sue molteplici manifestazioni; della formazione culturale e della formazione sociale; c’è bisogno di una nuova cultura della prevenzione. L’obiettivo della prevenzione diventa il sostenere i minori nel percorso di crescita, offrendo loro opportunità, strumenti e conoscenze che li aiutino a fronteggiare le fisiologiche e le psicologiche fasi di malessere. I progetti di prevenzione da realizzare negli anni dovrebbero affrontare significative domande, alle quali è necessario offrire delle risposte: Chi sono i minori e gli adolescenti di oggi? Quali problemi presentano e in quale modo li esprimono? In che modo è opportuno e possibile entrare in contatto con loro? Prendere in considerazione tutti questi quesiti significa, come operatori sociali, rileggere le possibili «azioni di prevenzione» nei confronti di questa particolare tipologia di soggetti. Le possibili «azioni di prevenzione» sono l’insieme delle misure che possono contribuire sia alla riduzione di fenomeni dal punto di vista del loro oggettivo verificarsi, sia quelle misure che incidono direttamente sulle percezioni e sulle rappresentazioni dei cittadini. Esiste allora la necessità di rinnovare i sistemi di risposta e di intervento, con l’obiettivo ambizioso di superare l’inefficace livello punitivo-detentivo e assistenziale-rieducativo, attraverso l’introduzione di norme che hanno consentito progettazioni e sperimentazioni tendenti all’attivazione responsabilizzante dei minori lontano da costrizioni istituzionali, promuovendo lo sviluppo di abilità e di competenze socializzanti dentro reti operative di controllo/monitoraggio.
Quando si intende il crimine come prodotto della psiche umana, la prevenzione si concentra sull’intervento individuale, in modo da evitare, controllare o riabilitare gli autori reali o potenziali. La criminalità è quindi il risultato di una serie di circostanze combinate tra di loro, in cui sia le cause strutturali che quelle individuali, pur avendo un ruolo, rimangono marginali. La prevenzione quindi potrebbe attuarsi attraverso un intervento, anche minimo, sul contesto, fisico e sociale, in cui i reati si verificano.
La prevenzione è spesso declinata in tre forme: la primaria è diretta ad eliminare o a ridurre le condizioni criminogene presenti in un contesto fisico o sociale, quando ancora non si sono manifestati segnali di pericolo; la secondaria comprende tutte le misure rivolte ai gruppi a rischio di criminalità; la terziaria interviene quando un evento criminale è già stato commesso, per prevenire ulteriori ricadute.
Le possibili «azioni di prevenzione» da mettere in atto sono l’insieme delle misure che possono contribuire sia alla riduzione di fenomeni dal punto di vista del loro oggettivo verificarsi, sia quelle misure che incidono direttamente sulle percezioni e sulle rappresentazioni dei cittadini. Esiste allora la necessità di rinnovare i sistemi di risposta e di intervento, con l’obiettivo ambizioso di superare l’inefficace livello punitivo-detentivo e assistenziale-rieducativo, attraverso l’introduzione di norme che hanno consentito progettazioni e sperimentazioni tendenti all’attivazione responsabilizzante dei minori, promuovendo lo sviluppo di abilità e di competenze socializzanti dentro reti operative.
La prevenzione si orienta al singolo (prevenzione orientata all’autore) ed alla collettività (prevenzione sociale).
Prevenzione orientata all’autore.
1. Prevenzione primaria orientata all’autore: misure quali la socializzazione, gli interventi educativi, le politiche per la famiglia e quelle sociali.
2. Prevenzione secondaria orientata all’autore: comprende i programmi preventivi finalizzati ad evitare l’ulteriore sviluppo di «tendenze» o predisposizioni alla criminalità e alla devianza nei gruppi a rischio.
3. Prevenzione terziaria orientata all’autore: comprende gli interventi finalizzati ad evitare la recidiva ed attuati dal sistema correzionale o sociale.
La prevenzione sociale.
La prevenzione sociale comprende tutte le misure che hanno per obiettivo l’eliminazione o la riduzione dei fattori criminogeni. Essa si fonda su una teoria eziologica della criminalità e si propone quindi di intervenire sulle cause sociali, attraverso programmi di intervento a carattere generale, in grado di intervenire o di modificare le motivazioni che spingono alla criminalità.
Secondo alcuni, la prevenzione sociale è una politica globale orientata al benessere sociale che attraversa tutti i settori delle politiche amministrative. Alcuni autori accentuano l’aspetto di sviluppo sociale che si ritiene stia a fondamento di queste politiche, il cui compito è quindi quello di studiare l’origine e la riproduzione delle ineguaglianze responsabili dei «contesti svantaggiati» per superarle3. Altri ancora intendono la prevenzione sociale come l’insieme delle misure di carattere collettivo, o come l’insieme delle misure estranee al sistema della giustizia penale.
Si tratta di una forma di prevenzione che rimane orientata prevalentemente all’autore di reato visto, però non in una prospettiva individuale, ma in un contesto generale.
La prevenzione comunitaria.
Viene attuata da agenzie estranee al sistema penale e, più precisamente, dalla comunità attraverso i suoi gruppi e le sue organizzazioni. All’interno della prevenzione comunitaria si distinguono tre diversi approcci4:
– organizzazione della comunità, basata sulla mobilitazione dei residenti a fini di prevenzione e di ricostruzione del controllo sociale informale, soprattutto nei confronti della devianza giovanile;
– difesa della comunità, attraverso varie forme di autotutela dei cittadini o strategie difensive di carattere urbanistico e architettonico;
-sviluppo della comunità, che comprende misure diverse tra di loro ma comunque indirizzate alla ricostituzione della dimensione comunitaria e al miglioramento complessivo delle condizioni sociali/abitative e dei servizi.
Altri distinguono diverse tipologie di risposta comunitaria alla criminalità, a seconda delle strategie adottate: troviamo così azioni di esitamento contrapposte ad azioni di mobilitazione; azioni individuali contrapposte ad azioni collettive; attività di auto protezione dalla vittimizzazione; attività di protezione di propri beni; attività di difesa della propria area residenziale (a seconda, quindi, di quale sia l’oggetto specifico di tutela della prevenzione comunitaria).

NOTE
1- Vocabolario della lingua italiana I, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 1986, pp. 1026-1027.
2-B. Nardi, S. Magari, F. Delicati, L. Mariani, P. Giunto, Aggressività e devianza nell’adolescenza, in Esperienze di giustizia minorile, n. 3-4, 1991, pp. 199-212.
3- Tonry & Farrington, 1995; Hastings, 1998.
4- Graham & Bennet, 1995

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