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Il potere della risata nell’aiuto (2^ parte)

Cari colleghi, eliminiamo quindi le scrivanie, favoriamo con tutto il non-verbale possibile un setting favorente la comunicazione di sé e mettiamoci in gioco. Proviamo a sorridere alla vita, a noi stessi e, di conseguenza, alle persone che ci sono affidate: ciò è un grande aiuto alla nostra “tenuta lavorativa”, visto che ci toccherà lavorare per tanti decenni ancora. Questo sentimento mi viene confermato in questi tempi come non mai, in cui, grazie al Corona-virus e alla traslazione sul web delle riunioni, molto di più osservo le nostre facce: piatte, smorte, senza sentimento, tendenti alla depressione, forzatamente “serie”.

Su questa scia da anni ho recuperato un modo diverso di lavorare con la gente, “alla pari”, appunto. Tralasciando tutte le questioni di “setting favorente”, che esulano da questo articolo, mi focalizzerei sul fatto che una relazione di aiuto rilassata ed emozionalmente piena non può che passare dall’umorismo. Ridere o gioire, infatti, attiva un riequilibrio energetico che abbassa le difese negative e tossiche: quindi fare la giusta battuta con l’utente, esorcizzare un dolore con l’umorismo o smontare l’aggressività altrui con l’autoironia, sono tutte azioni che inviterei a percorrere. Ma non esiste un master, né l’Ordine concederà mai crediti per ridere: stiamo parlando di caratteristiche personali, di cui, al massimo, non possiamo che diventare consapevoli. Ecco quindi una riflessione sugli approcci alla risata nei processi di aiuto: ognuno si scelga il suo!

Prima di tutto l’umorismo dev’essere positivo e non negativo. A questo secondo gruppo appartengono il sarcasmo, il cinismo, lo scherno, l’umiliazione: do per scontato che queste modalità siano bandite dalla pratica professionale, non solo con l’utenza (ma di ciò non mi preoccupo, vista l’attuale “serietà” dei servizi), ma anche con i colleghi (e di questo mi preoccupo molto, invece). Il nostro “umorismo professionale” può partire dalla risata (causata da una battuta o da un aneddoto o una barzelletta detta “ad hoc”), ma può anche svilupparsi, nel colloquio, su forme più contenute, come il sorridere, il ridacchiare, l’esprimere gioia, giocare sull’autoironia per minimizzare l’aggressività. L’umorismo professionale ha il solo fine di ridere “con gli altri” e mai “degli altri”: a noi interessa sempre e comunque il benessere, un sorriso non può che esserne importante segnale.

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