Progettazione & handicap nel servizio sociale: assistente sociale promotore di riflessione e scienza
Spesso può capitare anche a noi assistenti sociali, quando ci troviamo di fronte ad un utente portatore di disabilità, di rispondere come i discepoli della seguente storiella.
Un maestro indù mostrò un giorno ai discepoli un foglio di carta con un puntino nero nel mezzo chiedendo loro: “Che cosa vedete?” Ed essi : “Un punto nero!”. “Come?“ disse deluso il maestro…. “Nessuno di voi è stato capace di vedere il grande spazio bianco tutto attorno?” Il rischio per noi professionisti del sociale è quello di guardare sempre il puntino nero, l’handicap, di fissarci sul problema, sulla “non abilità” e non sullo spazio bianco, sulla soluzione, sul “benessere”, ovvero le potenzialità della persona, la sua capacità ad agire, la sua capacità di produrre cambiamenti.
Sempre più assistenti sociali oggi, usciti dalle università (che troppo spesso propone troppa teoria scollegata dalla pratica), sono in crisi per non saper fare una vera e propria diagnosi sociale e da qui poter creare un buon progetto a favore dei propri utenti.
Dopo 10 anni di lavoro nei più disparati settori del sociale della metropoli romana, da circa un anno e mezzo di servizio alla UILDM di Roma, mettendomi in discussione a causa dei quesiti operativi citati, rimettendomi a studiare, a contaminarmi con altri colleghi, puntando quindi sulla formazione e aggiornamento, ho cercato di mettere a punto un percorso mentale di teoria/prassi/teoria applicabile alla presa in carico di utenti portatori di handicap. Il focus di questo scritto riguarderà per l’appunto la presa in carico sul versante del metodo per poter poi arrivare ad avviare buone progettualità. Al contempo indico come strategica la scelta di un buon modello teorico di riferimento che possa fare da chiave di lettura per tutti i dati, visione di insieme e valutazione finale.
E’ fondamentale nelle prime due fasi del processo di aiuto, scegliere buoni strumenti per un buon assessment. Sin dagli albori della nascita del Servizio Sociale negli USA l’opera dell’assistente sociale è stata rappresentata come una serie di fasi metodologiche che hanno preso il nome di “processo di aiuto ”.
Queste fasi inizialmente, facendo riferimento al modello medico erano solo tre: studio, diagnosi, trattamento. Tale modello vedeva il disagio nei termini di malattia da diagnosticare e guarire. Nel tempo queste fasi si trasformarono nelle attuali secondo lo schema che oggi conosciamo, con orientamento al “processo”.
Tra gli strumenti di assessment possiamo trovare : il genogramma, l’ecomappa, il test, l’intervista, il focusgroup, la check-list, le scale di misurazione, i questionari, le carte di rete, altri strumenti costruiti ad hoc dall’operatore. E’ l’ora che gli assistenti sociali possano sperimentare strumenti accreditati, come quello dell’ICF creato dall’O.M.S o altri costruiti ad hoc da colleghi che tengano conto di indicatori e di variabili per la valutazione.
Ma è proprio possibile progettare? E’ necessario progettare? La “frase progettare per qualcuno” potrebbe sembrare in alcuni casi un delirio di onnipotenza (chi di noi può controllare tutto nella propria vita? Figuriamoci quella degli altri…) Eppure sin dalla nascita un bambino con disabilità, frequentando i primi anni del nido o della scuola materna ha un suo proprio PEI (Piano Educativo Individualizzato).
Nell’adolescenza poi sia il Servizio Materno Infantile che l’Ufficio Handicap Adulti ASL e Comune (dalla maggiore età) iniziano a proporre un Progetto, un Piano di Intervento per i bisogni primari o secondari o per l’integrazione sociale e/o lavorativa. Intendiamo quindi la progettazione come un operazione che può accompagnare tutta la vita di una persona con disabilità, dalla nascita alla vecchiaia (metafora dell’albero). Ovviamente le persone più “esperte” a progettarsi sono le persone con disabilità. L’assistente sociale offre in tutto ciò la sua azione di counseling di coaching sociale, di facilatore e stimolatore delle potenziali abilità e competenze (azione di agency e promozione capabilities).
Cosa tenere a mente per impiantare un buon Progetto? Il seguente schema-percorso servirà ad assicurare una scientificità al nostro lavoro ed evitare che il nostro progetto faccia “naufragio”. Noi sappiamo che per le leggi della fisica un incudine di ferro messa nell’acqua affonda; perché allora una nave costruita con materiali di ferro, se progettata bene, non affonda? Grazie alla teoria di Archimede, per cui la spinta dell’acqua dipende dal volume del corpo. La leggenda narra appunto che il grande siracusano scopri tale teoria mentre faceva il bagno nella sua tinozza.
Nel tentativo, quindi, di riappropriarci di un modus operandi scientifico, tipico della nostra professione, e di porci come “scienziati del sociale” qui di seguito propongo uno schema di riferimento teorico- pratico per ben progettare il casework nell’area della disabilità.
Iniziamo da una definizione semantica, dal latino: Progectus “AZIONE DI GETTARE AVANTI” : PRO ( AVANTI) + GIACERE ( GETTARE) La voce progetto nel Dizionario di Servizio Sociale, a cura di Dal Pra Ponticelli, è così spiegata: “il termine progetto, assume diverse accezioni in relazione agli ambiti disciplinari in cui trova utilizzo. […] Con riferimento ad alcune categorie di cittadini (gli anziani, i disabili, i minori) in molte realtà regionali sono attive, da tempo, unità operative con compiti di valutazione multidimensionale del/dei problemi, cui fanno seguito progetti individuali, richiedenti l’apporto di più servizi, nella prospettiva di una maggior integrazione tra prestazioni e competenze professionali”.
Anche lo stesso Dizionario citato conferma che: “naturalmente il progetto assume sottolineature diverse a seconda degli orientamenti teorici di ciascun modello“.
Tra i modelli più idonei a lavorare con la disabilità che hanno portato notevoli risultati sono il modello sistemico-relazionale e il modello centrato sul compito. Di grande fascino e interesse ed ancora in via di sperimentazione e consolidamento è invece il modello dialogico- discorsivo. L’Assistente Sociale però può anche riferirsi ad altre mappe mentali come quelle che si possono trovare nella pedagogia speciale o in autori come Victor Frankl o in quant’altri si scoprono utili per il lavoro.
Alcuni docenti universitari di servizio sociale sono dell’idea che per dimostrare una relativa scientificità del nostro lavoro dovremmo attenerci ad un unico modello e premetterlo all’inizio della raccolta dati, nelle prime fasi del processo di aiuto. Altri invece sono dell’idea che si possa fare riferimento a più modelli contemporaneamente.
Per ritornare alla storiella del maestro indù presentata all’inizio di questo articolo, è necessario che gli assistenti sociali inizino a rivedere la loro metodica del processo di aiuto, in particolare quella della presa in carico, specializzandosi nell’utilizzo di alcuni modelli.
Altro elemento di grande rilievo è la capacità di essere creativi nella progettazione. Come eccellenza di questa tematica penso al progetto “ Il Carrello della Nonna” che è possibile vedere su http://it.youtube.com/. La creatrice del Carrello della Nonna è stata la collega assistente sociale Stefania Ricci della ASL RM A3 che, mentre camminava per un mercato del territorio del suo distretto, ha avuto l’intuizione di collegare due bisogni non soddisfatti della sua comunità ovvero quello dei ragazzi con disabilità psichica e quello delle anziane disabili. La sua metodica di casework le ha dato la possibilità di progettare anche a livello di comunità oltre che per il singolo utente. E in questo video possiamo vedere come il confine tra la macroprogettazione (dove siamo chiamati nei tavoli di co-progettazione dei piani di zona) e la microprogettazione (il progettare nei singoli casi) è molto labile.
Accanto a questo itinerario propongo una connessione mentale molto utile a chi progetta a favore (e con) persone con disabilità tratta da un articolo di Ugo Albano. Partendo da una delle teorie madre del servizio sociale, ovvero la teoria dei bisogni di Maslow, è possibile procedere nel seguente modo: una volta individuati i bisogni (che possono essere espliciti, impliciti, latenti o manifesti) su cui lavorare è possibile individuare a catena gli obbiettivi, le abilità, le competenze, i compiti rispetto all’utente che abbiamo preso in carico e le relative aree di intervento e di funzione dell’assistente sociale.
Qui di seguito l’esempio con un disabile non vedente.
AREE |
OBIETTIVI= COMPETENZE =ABILITA’ |
COMPITI |
INDICATORI |
gestione della persona |
Lavarsi, vestirsi,mangiare> |
Addestrare alla gestione autonoma> |
Riesce a svolgere le funzioni primarie> |
protezione della persona |
Riconoscere e gestire il pericolo |
Ritualizzare azioni di autoprotezione |
Riesce a riconoscere ed evitare il pericolo |
socializzazione |
Rapportarsi agli altri positivamente |
Favorire la frequenza di occasioni di contatto umano. |
Riesce a creare e mantenere buone relazioni |
sostegno dell’io |
Autoaccettarsi |
Colloqui mirati all’autoaccettazione e alla positiva proiezione di sé sul futuro |
Riesce ad essere più consapevole di se stesso |
Crescita cognitiva |
Formarsi |
Studiare, imparare il “braille” |
Riesce a dimensionarsi in chiave professionale |
autogestione estetica |
Cura della propria immagine |
Lasciarsi consigliare |
Feed-back relazionale |
autorealizzazione |
TRASVERSALI |
TRASVERSALI |
TRASVERSALI |
Infine a seconda se la persona che abbiamo preso in carico ha totalmente compromesse le sue abilità o meno, il nostro progetto prenderà tre percorsi differenti: progetto di sviluppo e promozione, progetto di cura e mantenimento, progetto di accompagnamento al decesso con la miglior qualità della vita. Accanto di tutto ciò è importante tener conto del ciclo di vita dell’utente, dell’eventuale vissuto legato alla patologia, la consegna della diagnosi, del contesto territoriale, della rete delle risorse.
Articolo già pubblicato nel Notiziario SUNAS n. 162 di Marzo 2008 (pagg. 6 e 7) con il titolo “SPECIALE: PROGETTAZIONE 6 HANDICAP NEL SERVIZIO SOCIALE – l’ASSISTENTE SOCIALE PROMOTORE DI RIFLESSIONE E DI SCIENZA”
Per ulteriori informazioni e materiali utili potete vedere nella sezione Sunas Informa nel sito http://www.sunas.it/
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