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Il lavoro di gruppo: strumento per la revisione critica del reato

In questo particolare momento storico ed economico, come operatori sociali ci accorgiamo che il disagio sociale viene rappresentato anche nella difficoltà di interazione con singoli e con gruppi altri da noi. Questi diversi sono sentiti come minacciosi per la nostra incolumità e la nostra sicurezza. Sembrerebbe facile cercare la soluzione a questo problema, ricorrendo ai cosiddetti poteri forti, ma questo ci porterebbe a confondere il concetto di sicurezza pubblica con quello di sicurezza sociale.
In questo dibattito, il sistema penale si trova intrappolato tra perdita di senso e impossibilità di rispondere al mandato istituzionale. I ben noti tagli alla spesa, mettono tra l’altro, in pericolo la sussistenza stessa del servizio sociale della giustizia.
La Direzione Generale dell’Esecuzione Penale Esterna (1), nel 2005, con l’intento di ripensare le modalità di intervento e rafforzare la personalizzazione dei percorsi di reinserimento, inserisce negli Uepe (2) la figura dello psicologo. La presenza di questo professionista permette la presa in carico del soggetto da parte di un’equipe multidisciplinare, che proprio dalla condivisione di personalità e discipline diverse attinge gli strumenti per analizzare i punti di criticità dei soggetti in esecuzione penale, tenta di ricucire il conflitto con la società e di riconsegnare alla stessa, persone socialmente responsabili, capaci di individuare modalità di agire diverse da quelle illecite.
In questo percorso che il soggetto deve affrontare, prende corpo la convinzione che non si possa prescindere dall’elaborazione del reo nei confronti della vittima come snodo fondamentale di risocializzazione.
Convinti che le difficoltà a volte possono diventare opportunità, e nonostante le carenze di risorse e di persone, all’interno degli Uepe si cercano tecniche nuove o si rivisitano antichi strumenti per migliorare l’efficacia dei percorsi trattamentali.

Partendo da questo presupposto, abbiamo scelto di utilizzare il lavoro di gruppo, in alternativa a quello duale operatore-utente, come mezzo per approfondire il percorso di revisione critica perché il principio che regola la sua formazione è, come spiega D. Napolitani, il fatto che “il Noi è luogo germinativo di qualsiasi Tu” (1986). Quindi il luogo più adatto per condividere eventi, vissuti, difficoltà, attraverso una comunicazione che sia partecipata, esplicitata e basata sull’ascolto.
Nella situazione di gruppo le idee, le emozioni, le fantasie, formano un campo comune, in cui la trasformazione di un singolo elemento comporta la trasformazione di tutti gli elementi del gruppo.
Quello di campo è un concetto che ha precedenti nella psicologia della Gestalt, e che è stato rielaborato da Merleau-Ponty, con l’intenzione di analizzare l’individuo in situazione, capace cioè di comprendere i fatti nel contesto delle relazioni intersoggettive.
Il campo emozionale che si crea, quindi, durante la seduta di gruppo tra i vari partecipanti, permette che prendano corpo, attraverso uno scambio di emozioni, storie e pensieri che fuori da questa situazione rimarrebbero ingabbiati e inerti, per incapacità ad esempio a sostenere il peso del senso di colpa relativo ai reati commessi. Utilizzare questo campo come uno spazio-tempo in cui le turbolenze emotive si possano trasformare in immagini visive, in racconti, poterle raccoglierle ed elaborarle, è certamente un passo avanti nell’utilizzare tecniche specialistiche per il raggiungimento di obiettivi più miorati di risocializzazione.
All’interno di queste premesse metodologiche nasce il progetto To the Progress (TTP), conseguenza della valutazione positiva di una precedente sperimentazione, progettato e realizzato nella sede di Roma durante l’anno 2011.
Voler affrontare la problematica della revisione critica del reato, insieme ad una nuova attenzione alla vittima dello stesso, ha orientato l’identificazione del target nella composizione del gruppo.
Questo, dopo una selezione attraverso dei colloqui motivazionali individuali svolti dagli psicologi, è alla fine risultato composto da 8 persone in esecuzione di pena per reati commessi verso le persone (delitti contro la persona). Reati cioè commessi con modalità che avessero una vittima fisicamente identificabile. Il gruppo è stato condotte da una assistente sociale e da una psicologa, entrambi con funzioni di facilitatori nell’affrontare le dinamiche collegate al vissuto, alla vittima e all’immagine sociale.
A conclusione degli incontri di gruppo sono stati svolti dei colloqui individuali di analisi del cambiamento.
Il cammino del gruppo ha evidenziato momenti di crescita tra i partecipanti, scaturito dall’incontro di comuni esperienze emozionali, che ha loro permesso di condividere le difficoltà nell’affrontare il senso di colpa verso chi è rimasto loro accanto, per quanto abbia condizionato la loro vita, e per la vergogna dei propri agiti.
Ma il passaggio di crescita non avviene solamente attraverso l’accettazione e la consapevolezza di tutto il proprio vissuto, ma anche dall’attenzione alla vittima del reato.
Siccome la condivisione è contagiosa il confronto in gruppo è stato di particolare sostegno per riconoscersi tra uguali e uscire dalla convinzione vittimistica di essere segnato a dito, di essere per sempre un reietto della società.
Dando spazio all’ascolto si aprono le porte ai sentimenti, alla condivisione del dolore. Dapprima per qualcosa legato al presente ma poi, provare pietà, sentirsi impotenti, indica la strada per incontrare la vittima “per mettersi nei suoi panni” per provare empatia ed accogliere la sua sofferenza.
Siamo convinti che il lavoro di gruppo sia uno strumento adatto e facilitante soprattutto con un’utenza a lungo istituzionalizzata e quindi abituata ad un rapporto formale e standardizzato con gli operatori.
Siamo inoltre convinti che l’approccio multidisciplinare abbia in sè gli strumenti adatti per affrontare le rigide strutture difensive di persone che hanno impiegato anni a respingere l’assalto di sentimenti dall’alto potenziale distruttivo.
Il nostro augurio è di riuscire a continuare a sperimentare modi sempre più efficaci per essere d’aiuto alle persone in trattamento.

Roma, 28 novembre 2011
Sonia Baldetti
Carla Faleri
Marina Rossi

Il progetto è stato pensato e realizzato grazie ai contributi di tutto lo staff locale dell’Uepe di Roma di Mare Aperto:Federica Cassola, Roberta Maestri, Silvia Maggi, Lucia Traina, Valeria Verde e al sostegno del Direttore dell’Uepe di Roma e Latina, Rita Crobu. A tutte loro va il nostro ringraziamento.

note:
1- DGEPE: Direzione Generale del Dap che si occupa del coordinamento e gestione di tutti gli Uepe di Italia
2- Uffici Esecuzione Penale Esterna del Ministero della Giustizia il cui compito istituzionale è quello di reinserire e reintegrare nella società il condannato, gestendo le misure alternative alla detenzione

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