Nuovi giovani per nuove droghe. Come arrivare ai ragazzi in modo più credibile e più vicino al loro mondo?
Non sono utili campagne allarmistiche, né spiegazioni troppo scientifiche ed elaborate. Il modo migliore per raggiungere i giovani è quello di comunicare per immagini, utilizzando il loro linguaggio all’interno dei loro contesti di appartenenza. È utile mostrare loro racconti ed esperienze di vita direttamente da coetanei consumatori, poiché utilizzano termini e concetti di facile e immediata comprensione, suscitando maggiore condivisione e riconoscimento, in quanto loro pari. È necessario concentrarsi sugli effetti e sui rischi che le sostanze comportano (e non sulle tipologie di droghe, perché i giovani le conoscono perfettamente) ma tali concetti devono essere spiegati con termini chiari e semplici, senza spaventare e senza alludere che al primo tentativo di consumo le conseguenze siano irrecuperabili, perché questo susciterebbe solo la curiosità dei ragazzi, se non addirittura una sfida per dimostrare che non è così. È fondamentale non allontanarsi dai giovani. Per fare questo, diventano inutili gli interventi in cui vengono offerte molteplici informazioni, accompagnate da una serie di dati, in quanto restano fini a se stesse, non arrivano ai ragazzi. È necessario che partecipino attivamente agli incontri di prevenzione: devono poter fare domande; devono poter rielaborare immediatamente le informazioni ricevute; devono far propri i nuovi concetti acquisiti; devono contestualizzare e personalizzare la questione droga. Non è facile comprendere che dietro ogni azione vi sia sempre una conseguenza sul nostro corpo, anche perché i risultati non sono immediati, perciò occorre accompagnare i ragazzi nella costruzione di una percezione temporale, lungo la quale ogni attività svolta deve essere riconosciuta, attribuita del giusto significato e immagazzinata per considerazioni futuri. La cosa più importante è comprendere che il messaggio degli interventi di prevenzione non deve essere esclusivamente “non usare droga”, poiché si sa che il proibizionismo, oltre a produrre l’effetto opposto, non chiarisce il fenomeno droga ma, al contrario, crea confusione e falsi miti. Il concetto deve essere “chi consuma deve conoscere cosa usa” e per conoscere si intende non solo la tipologia di sostanza ma anche le conseguenze che il suo consumo può comportare.
È, quella dei giovani una risorsa che non conosciamo, che abbiamo lasciato nel parcheggio e che rischiamo di dimenticare e vanificare per sempre. Sarebbe il momento di cambiare atteggiamento, come società degli adulti, sui giovani; di imparare a fare veramente gli adulti e cioè a conoscerli e a utilizzarli proprio per quello che valgono come giovani. Su una cosa ci sono pochi dubbi, ed è la constatazione che i giovani sanno stare meglio degli adulti nella complessità, e questo è più che sufficiente per legittimarli come risorse dell’intera struttura sociale di cui oggi non possiamo assolutamente fare a meno. Oggi le risorse dei giovani vanno al di là del consumismo e della cultura dell’informatica. Si dice che i giovani non sono formati, però sono enormemente informati e non hanno bisogno di manifestare in maniera costante una sintesi globale e integrata di questa enorme informazione che accumulano giorno per giorno. Come una rispettabile banca dati, i giovani incorporano le informazioni e le lasciano in memoria, tirandole fuori solo al momento opportuno, per orientarsi meglio nella complessità sociale e senza sprecare risorse, nel tentativo di offrire esternamente un’immagine di sé perfettamente definita e riassuntiva delle informazioni ricevute.
Per fare un esempio, i giovani non si preoccupano di difendere a denti stretti, in ognuna delle occasioni di confronto, una loro ferrea ideologia o convinzione, né si battono ricercando argomenti per affermare un loro valore o un loro principio; però, al momento in cui percepiscono un messaggio, una richiesta o una possibilità operativa, ad esempio in favore della pace nel mondo, scattano al segnale e scendono tutti in piazza compatti a manifestare. Tirano fuori dalla loro banca dati quel valore integro e ben focalizzato della pace e lo adeguano alla situazione specifica, dimostrando una capacità di mobilitazione attiva e coerente che molti degli adulti, ferratissimi sull’ideologia e irremovibili sui valori, difficilmente sanno mettere in atto. Il disagio giovanile, per molti anni teorizzato sulla base di una identità indefinita e transitoria degli adolescenti, oggi si ribalta in centralità della cultura giovanile: in un modello di società basato sulla complessità sociale, che richiede una struttura della personalità individuale di tipo flessibile, non rigidamente vincolata a norme e valori irremovibili, ma al contrario disposta e preparata al cambiamento rapido, alla rimessa in questione permanente, all’utilizzazione sequenziale degli stimoli sempre nuovi e diversi, che la complessità sociale è in grado di produrre.
Una volta compreso e accettato il dato che il rischio rappresenta un compito evolutivo per l’adolescente, appare evidente che la fase di crescita non è avulsa dalla rete sociale e familiare di riferimento. Affinché i progetti di prevenzione abbiano successo, si auspica che siano il risultato di un lavoro integrato, fondato sulla sinergia e sulla cooperazione, di tutte le agenzie di socializzazione e di formazione – famiglia, scuola, centri ricreativi, locali notturni e servizi competenti in materia di dipendenza patologica.
Dunque, la prevenzione non deve avere una valenza magica, né deve essere vissuta come una nuova funzione da aggiungere a quelle tradizionali, ma deve rientrare nel quotidiano compito genitoriale e nelle consuete attività formative e informative delle istituzioni pubbliche e private. L’operatore che promuove e realizza iniziative preventive, che accompagna percorsi di costruzione di senso, che avvia e sostiene interazioni comunicative, si trova costantemente a confronto con situazioni e dinamiche relazionali. La relazione con l’adolescente e il giovane, che si realizzi nel gruppo naturale, oppure in un centro di aggregazione giovanile, o in un servizio pubblico, rappresenta il momento forte dove il processo di prevenzione sviluppa ed esprime le sue valenze peculiarmente educative.
Riflettere sul nodo della relazione significa interrogarsi sui vincoli strutturali e sulle condizioni che consentono di tenere insieme persone, linguaggi, mondi diversi quali quello dell’adulto (dell’operatore) e quello dell’adolescente (utente), per molti aspetti contrapposti e conflittuali. Significa comprendere attraverso quali variabili di influenza e di determinazione reciproca gli adolescenti possano, nell’interazione con il mondo adulto, sperimentare soluzioni di unione anziché di dilatazione rispetto al loro percorso di separazione e di individuazione.
Attraverso i legami sviluppati nella relazione, i soggetti soddisfano i loro bisogni primari di attaccamento e cura e di esplorazione, che si sviluppano nel tempo, immettendo così una dimensione storica, di narrazione: l’individuo scopre, e progressivamente costruisce, interagendo con altri il senso del proprio essere al mondo.
Dunque, è fondamentale imparare a relazionarsi con i giovani e gli adolescenti e diventa prioritario sostenere e accompagnare tutte le agenzie di socializzazione e di formazione – famiglia, scuola, centri ricreativi, locali notturni e servizi in un percorso di cammino evolutivo volto alla creazione di legami e connessioni di senso.
Interessante è il progetto promosso dalla Cooperativa sociale Alice di Alba (CN) che dall’ottobre 2015 ha messo a disposizione un’équipe di professionisti (tra cui anche la figura dell’assistente sociale) che attraverso l’identificazione dei principi attivi delle nuove sostanze psicotrope, la creazione di un sito internet e la diffusione dei risultati realizza direttamente nei luoghi di divertimento interventi di outreach e di drug checking migliorando la conoscenza e la consapevolezza sull’uso delle nuove sostanze psicotrope dei giovani frequentatori comunicando loro rischi ed effetti, distribuendo acqua, ascolto e informazioni.
http://coopalice.net/baonps/il-progetto/
http://www.cnca.it/attivita/progetti/progetti-in-corso/baonps
https://www.facebook.com/events/1260021160689942/
Complimenti per l’articolo, il quale richiama l’esigenza di un approccio diverso dei progetti di prevenzione, oggi come oggi poco gestiti dal settore pubblico. Io credo che l’assistente sociale, oggi come oggi, possa proporre dei progetti di prevenzione. L’importante è uscire fuori dal modo classico (i giovani che vengono al servizio o, al massimo, ad un seminario a scuola) ed andare proprio nei contesti in cui il rischio è più alto (discoteca, giardini pubblici, davanti alle sale-giochi). I giovani di oggi sono più che esperti sugli effetti, anzi li cercano perchè ciò fa parte della trasgressione, tipica della loro età. L’offerta non può che essere che quella di ascolto e counseling sulle storie di vita singole.
Commento by Ugo Albano — 16 Agosto 2017 [Permalink]