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La banalizzazione del disturbo depressivo: come riconoscerlo e trasformarlo in risorsa.

L’individuo si scontra costantemente, sul piano dell’esperienza, con situazioni che lo costringono a confrontarsi con la propria sensibilità e con la propria vulnerabilità. Sentimenti quali la tristezza, la sconfitta, la frustrazione sono parte della vita quotidiana, ma spesso non è chiaro il confine di tali stati psicologici con la patologia, spesso confusa con stati emotivi transitori.

I continui cambiamenti socio-culturali che travolgono l’uomo moderno, e gli stati emotivi negativi a questi associati, hanno portato erroneamente a fare uso comune della parola “depressione”, con la conseguente convinzione che qualsiasi soggetto che si trova ad affrontare un momento di difficoltà possa identificarsi immediatamente come “soggetto depresso”. A ben vedere, la depressione rientra senza dubbio nel novero nei disturbi mentali, e di conseguenza necessita di una diagnosi accurata e, il più delle volte, di un trattamento farmacologico e psicoterapeutico di sostegno ben indirizzato.

La malattia mentale è, perlomeno nelle definizioni tradizionali, presentata come radicalmente diversa dalla malattia organica perché non ha evidenti dimostrazioni sul piano fisico; corrisponde ad una psiche compromessa, e sempre per definizione, essa non è un qualcosa di tangibile e conoscibile; perciò, rimane intrisa di una misteriosa oscurità, una pericolosità tali da generare stigma e disuguaglianza sociale in danno dei soggetti malati.

Il soggetto deve quindi combattere su due fronti: l’indebolimento della propria persona da un lato, e l’erosione del Sé legata alla forte distanza esistente tra la sua percezione e la reazione che gli altri hanno nei suoi confronti, dall’altro. Gli effetti della malattia mentale si fondono, quindi, con gli effetti della rappresentazione della stessa da parte degli individui che la osservano dall’esterno.

In caso di disturbo depressivo diminuiscono i contatti con le persone vicine, il soggetto preferisce l’isolamento e l’emarginazione volontaria, e questo è dovuto all’incapacità di saper individuare i propri desideri, i propri bisogni, esprimere le proprie emozioni e chiedere aiuto a qualcun altro.

L’aspetto più preoccupante della patologia è, però, che le manifestazioni depressive conducono alla rinuncia nei confronti di quella spinta fondamentale, istintiva, a sopravvivere, che connota lo schema generale evolutivo non solo dell’uomo, ma di ogni essere vivente. Tale aspetto potenzialmente autodistruttivo è da considerarsi la manifestazione più deleteria della malattia, il segno inconfondibile e distintivo di un disturbo da trattare clinicamente e, se possibile, prevenire (questione, tale ultima, che naturalmente coinvolgerebbe l’intera dimensione sociale in cui l’individuo è collocato).

La depressione, rientrando nei disturbi mentali, è una malattia che necessita di un’adeguata attenzione clinica: questo comporta la necessità di riconoscere scientificamente i sintomi di essa ed indirizzare il paziente, grazie alla presenza di professionisti adeguatamente formati, verso un percorso riabilitativo che investa l’intero ambito socio-sanitario.

È bene chiarire che gli psichiatri intervengono sui sintomi e curano (anche) con gli psicofarmaci; gli psicoterapeuti tendenzialmente curano i disturbi agendo sulle cause. Queste due figure, però, non esauriscono la gamma degli operatori che intervengono nella presa in carico della persona affetta da depressione. La figura professionale dell’assistente sociale, nell’ambito della salute mentale, si colloca all’interno di tutte le attività svolte dal Dipartimento di Salute Mentale (D.S.M.). quest’ultimo rappresenta l’unificazione dei servizi per la salute mentale per l’intero ciclo di vita (dall’infanzia fino all’anzianità) del paziente e ha lo scopo di farsi carico della sua cura e della sua assistenza nell’ambito del territorio definito dall’Azienda Sanitaria Locale (A.S.L.); le attività che svolge il Centro di Salute Mentale (C.S.M.) territorialmente competente riguardano la cura, la riabilitazione, la prevenzione, la formazione e l’informazione. Il C.S.M. è il primo punto di riferimento per il cittadino che ne abbia bisogno. L’assistente sociale, in collaborazione con uno psichiatra, uno psicologo e un infermiere, partecipa alla progettazione e alla realizzazione di progetti individuali di cura e riabilitazione, programmi di reinserimento familiare, sociale e scolastico al termine del percorso riabilitativo, programmi di inserimento in strutture oppure interventi che facilitino l’accesso del soggetto ai servizi a lui necessari.

Il paziente deve affrontare innanzitutto un percorso di empowerment, ossia la conquista, sia individuale sia nel gruppo, della consapevolezza di sé e delle proprie decisioni, scelte e azioni. L’obiettivo è far emergere risorse latenti e accompagnare l’individuo ad appropriarsi, progressivamente, del suo potenziale inespresso, e talvolta, inesplorato. Per trasformare la depressione in risorsa occorre partire dal rapporto con il proprio corpo, il quale si fa portavoce dei contenuti psichici; è importante saper ascoltarsi, in quanto il cambiamento mentale può prendere avvio dal corpo.

L’uomo è, in linea generale, consapevole di esprimere stati d’animo, situazioni intrapsichiche e bisogni attraverso una comunicazione che può essere verbale o corporea; in tal senso, egli deve ascoltare i segnali di allarme che il corpo emette ed attivarsi, così, per migliorare la propria condizione di salute, chiedendo aiuto a professionisti competenti quando è il caso. Puntare alla realizzazione di sé significa progettare, assumersi la responsabilità di gestire la propria esistenza con autonomia e portarla avanti con un certo livello di soddisfazione. Una crisi depressiva da questo punto di vista, può addirittura rivelarsi come una svolta significativa nella vita. Con la depressione si soffre intensamente, proprio perché il soggetto deve attingere a forze su cui prima non avrebbe mai ritenuto di contare. La sofferenza deve essere tradotta in istanze di cambiamento, dando voce alle proprie emozioni, ricomponendo armonicamente, per quanto possibile, le scissioni interne. Solo con un duro lavoro di riscoperta del proprio sé e dei propri bisogni l’uomo può considerare le perdite e le frustrazioni come eventi da affrontare e superare.

La rete formale con le istituzioni competenti, la rete informale con il supporto della famiglia, degli amici e dell’ambiente che circonda il soggetto ma soprattutto l’individuo stesso, sono risorse importantissime nel percorso terapeutico-riabilitativo. Ciascun attore sociale di tale percorso prende parte ad un sistema organico e strutturato di assistenza e cura, svolgendo il proprio ruolo specifico, ma il soggetto destinatario dell’intervento ha la responsabilità maggiore: quella di dover prendere in mano la propria esistenza e, insieme all’aiuto degli altri, trovare un modo per combattere la malattia e riacquisire una condizione di benessere fisico, emotivo, sociale e psicologico.

Dividere la società in due gruppi, ossia quello dei soggetti “sani” e quello dei soggetti “malati”, genera disparità e paura, alimenta il pregiudizio e umilia la dignità della persona. Per far sì che questa distinzione possa cadere, e si possa nel concreto sensibilizzare la società a questo tema, è riduttivo soffermarsi solo sulla figura destinataria dell’intervento: l’ambiente che circonda l’individuo, infatti, la sua famiglia, i servizi socio-sanitari utili al sistema di assistenza psichiatrica e le associazioni di volontariato sono risorse potenziali rilevanti per migliorare non solo la condizione psicopatologica dell’individuo stesso, ma anche il suo rapporto con la comunità sociale di riferimento.

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