Inquadramento teorico sull’esclusione sociale dei minori
Innanzitutto occorre precisare che “la povertà economica (relativa ed assoluta) non esaurisce il concetto più vasto di deprivazione relativa rispetto all’accesso e alla fruizione dei diritti sociali di cittadinanza, che anche nel linguaggio politico–sociale delle istituzioni europee viene ormai convenzionalmente denominata esclusione sociale” (CEIS, 2003: p. 30).
Secondo lo studioso Room, l’esclusione sociale “implica una più profonda frattura con il resto della società, e la sua definizione poggia su quattro elementi chiave: l’esclusione sociale è multidimensionale, dinamica, ha una dimensione territoriale, è relazionale” (Bimbi e Ruspini, 2000: p. 12).
La vulnerabilità, la povertà, l’esclusione potrebbero essere pensate come un continuum, ossia dal rischio all’esperienza di deprivazione economica, all’esclusione da diversi ambiti rilevanti per la collocazione sociale e nel sistema delle relazioni interpersonali significative. Tuttavia non obbligatoriamente si passa per questo continuum. Sono invece le circostanze concrete della vita individuale e familiare, e il modo in cui si mescolano con il contesto sociale ed ambientale, che possono produrre o meno questo continuum (Negri e Saraceno, 2003: pp. 7 – 15, 157 – 166).
Per esempio i bambini, che sperimentano nelle prime fasi d’età le condizioni di povertà, spesso hanno una tendenza a danneggiare e a vincolare il loro futuro educativo e lavorativo, peggiorando le iniziali condizioni di svantaggio. Questo accade quando non sono presenti politiche di promozione, prevenzione e riduzione dei fattori d’emarginazione. Esistono, quindi, legami diretti tra povertà minorile e le scarse possibilità di formazione e di carriera lavorativa. Inoltre incidono, oltre alle risorse economiche, anche la mancanza di risorse psicologiche e relazionali del fanciullo. Difatti in tali casi i ragazzi si trovano in una situazione di vulnerabilità materiale, culturale e sociale, dovuta soprattutto al fatto che stanno vivendo una delicata fase della vita (CEIS, 2003: pp. 89 – 123; Schizzerotto, 2002: pp. 9 – 59, 89 – 139, 141 – 186, 353 – 376; Bianco, 2001: pp. 169 – 206).
Difatti alcuni studiosi definiscono la famiglia come primo e più importante agente di socializzazione (gli altri sono la scuola, il gruppo dei pari, i mezzi di comunicazione di massa). I sociologi attribuiscono alla famiglia la responsabilità principale di socializzare i bambini negli anni cruciali dell’infanzia. I fanciulli stabiliscono nella famiglia i primi forti legami emotivi, apprendono il linguaggio, cominciano ad interiorizzare norme e valori. I modelli d’interazione sociale influiscono sul comportamento e sui tratti della personalità dei bambini quando questi diventano adulti. Inoltre, dal momento della nascita, i bambini hanno uno status ascritto, dato dalla famiglia d’appartenenza, in una subcultura di razza, classe, etnia, religione… e ciascuno di questi status influisce fortemente sulla natura dei successivi processi di interazione e di socializzazione (Robertson, 1992: pp. 117 – 118; Lucey e Reder, 1997: pp. 35 – 54).
Da ciò si deduce che le relazioni familiari nei primi anni di vita sono cruciali per l’avvenire del ragazzo. Alcuni studiosi parlano degli effetti dell’assenza di cure genitoriali nell’infanzia. Per i coniugi Clarke, entrambi psicologi, gli avvenimenti dei primi anni di vita influenzano tanto profondamente l’individuo che egli ne mostrerà le conseguenze anche nello sviluppo successivo. Questi studiosi si rifanno alla teoria dell’attaccamento e dell’assenza di cure di Bowlby (Emiliani e Zani, 1998: pp. 71 – 72).
Per di più, negli ultimi decenni, la riflessione teorica di studiosi di psicologia evolutiva, di psicopatologia, di sociologia e di psicologia sociale ha focalizzato l’attenzione sul contesto familiare come luogo di rischio evolutivo, fonte di stress e di difficoltà di adattamento per i suoi componenti. Sono stati individuati inoltre alcuni tratti caratteristici delle famiglie multiproblematiche che possono spiegare l’esclusione sociale dei minori (Bastianoni e Emiliani, 1995: pp. 61 – 77; Campedelli, 1994: pp. 11 – 20; Campanini, 2002: pp. 102 – 105):
1 gli adulti solitamente presentano bassa scolarizzazione, scarsa preparazione professionale ed instabilità lavorativa. Il rapporto dei figli con le istituzioni scolastiche è caratterizzato da una motivazione carente, difficoltà di comportamento e/o d’apprendimento, accompagnate dalla ridotta partecipazione dei genitori ai problemi dei figli;
2 il sistema familiare si regge su equilibri precari e fragili di fronte a problemi nuovi;
3 gli stili comunicativi interni al nucleo sono caratterizzati da scarsa propensione all’ascolto, con tendenza a reagire in modo automatico;
4 la crescita dei minori avviene in un clima caratterizzato da carenze nell’accudimento, scarsa stimolazione, atteggiamenti confusi e contraddittori;
5 la famiglia vive in un profondo isolamento sociale spesso accompagnato da una mancata coesione interna dei propri membri;
6 queste famiglie sono disorganizzate ed è carente l’attribuzione di ruoli precisi;
7 le famiglie multiproblematiche vivono in situazioni economiche precarie. Spesso appartengono ad un’area economica culturale deprivata e marginale; di frequente la famiglia è stata soggetta a sradicamenti da un contesto culturale molto diverso da quello in cui ora si trova inserita.
Un’altra definizione di famiglie multiproblematiche concerne “quelle famiglie, spesso numerose e “spezzate”, che si caratterizzano per la presenza al proprio interno di diversi tipi di problemi, spesso concatenati l’uno all’altro (e sono il numero maggiore di nuclei in carico al servizio sociale), aggravati da una condizione economica e abitativa precaria” (Miodini e Zini, 1997: 118 – 119).
Il compito evolutivo che deve affrontare un bambino, che cresce in un ambiente poco protettivo e costellato da rischi, è riuscire a manifestare le proprie capacità di “resistenza”, ossia di essere flessibile e di resistere agli urti, per realizzare un buon adattamento, nonostante le avversità esterne e/o le difficoltà personali (Bastianoni e Emiliani, 1995: pp. 68 – 74).
La difficoltà di analizzare la tematica dell’esclusione sociale dei fanciulli è dovuta al fatto che solitamente gli studiosi preferiscono approfondire maggiormente l’analisi della famiglia nel suo insieme. È usuale trovare ricerche riguardanti la povertà o l’esclusione sociale del nucleo familiare, piuttosto che dei singoli componenti della famiglia (Benassi: pp. 4 – 43; Saraceno, 1998: pp. 7 – 48). Le tematiche più analizzate per i ragazzi sono solitamente l’abbandono e le difficoltà scolastiche, la lunga transizione all’età adulta, il mondo del lavoro, i servizi sanitari e sociali offerti, la promiscuità, i reati minorili, la violenza in famiglia, il sostegno economico per i figli, l’affidamento (Barbagli e Saraceno, 1997: pp. 7 – 26, 123 – 141, 151 – 162, 185 –192; ISTAT, 1999: pp. 9 – 15, 67 – 145; ISTAT, 2000: pp. 9 – 16, 89 – 139; ISTAT, 2001: pp. 106 – 110, 117 – 127; CENSIS, 2002: pp. 212 – 217, 277 – 283; Bianco, 2001: pp. 169 – 225; Paci, 1993: pp. 251 – 259, 330 – 343, 353 – 390; Buzzi, Cavalli e De Lillo, 1997: pp. 15 – 101, 171 – 190).
Per esempio, solitamente, il periodo adolescenziale viene sottolineato come una delle fasi del ciclo vitale che in modo particolare richiede la messa a fuoco del sistema relazionale che circonda l’adolescente, come contesto di relazioni che danno significato al suo comportamento. Il compito evolutivo peculiare di questo stadio è l’individuazione, ovvero il raggiungimento di una identità adulta, compito che può essere agevolato, ma anche ostacolato, dal nucleo familiare, inteso come gruppo con propria storia e peculiare sistema di relazioni (http://w3.uniroma1.it/malagoli/Adolescenti.htm; Tonolo, 1999: pp. 229 – 233; Charmet e Scaparro, 1993: pp. 24 – 26; www.minori.it/pubblicazioni/rapporti/indice97.htlm).
Come evidenziato, è difficile analizzare la povertà dei singoli minori nei nuclei familiari, anche se sono state condotte alcune ricerche a tale proposito. Dall’inchiesta degli studiosi Cannari L. e Franco D., che esaminano le condizioni economiche dei nuclei familiari italiani con figli minorenni, avvalendosi dei dati d’indagine sui bilanci delle famiglie condotta dalla Banca d’Italia, usando a riferimento il criterio della povertà relativa (ossia le condizioni economiche di ciascuna famiglia sono comparate con quelle medie della popolazione oggetto di studio; e la povertà viene misurata come carenza di reddito), le soglie di povertà definite a livello nazionale… Quel che emerge dalla ricerca è che l’incidenza della povertà fra i minorenni italiani è superiore a quella che si riscontra fra le altre classi d’età (Cannari e Franco, 1997: pp. 7 – 70). Ciò che si può notare da questa indagine è l’associazione del minore ad un tipo di famiglia (monoparentale, nucleare…), e perciò ritengo che più che analizzare la povertà dei fanciulli, in questa analisi si studi maggiormente la povertà nelle varie tipologie di famiglia con i figli a carico.
Quindi è difficile riuscire a determinare la posizione degli individui all’interno del gruppo familiare, ossia ponderare la loro dipendenza dalle risorse fornite dagli altri componenti della famiglia, sia l’apporto di ognuno alle risorse totali del nucleo familiare (Bimbi e Ruspini, 2000: pp. 9 – 13).
Bibliografia.
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Bastianoni P., Emiliani F. (1995), saggio Fattori di rischio e contesti familiari, Bianchi E., Vernò F. (a cura di), in “Le famiglie multiproblematiche non hanno solo problemi”, Padova, Ed. Emanuela Zancan.
Benassi D., Le politiche contro la povertà in Italia. Rapporto per la Commissione di Indagine sull’Esclusione Sociale, Università di Milano – Bicocca.
Bianco M. L. (2001, a cura di), L’Italia delle disuguaglianze, Roma, Carocci Editore.
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Campanini A. (2002), L’intervento sistemico, un modello operativo per il servizio sociale, Roma, Ed. Carocci Faber.
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Sito internet: http://w3.uniroma1.it/malagoli/Adolescenti.htm
Sito internet: www.minori.it/pubblicazioni/rapporti/indice97.htlm
Tonolo G. (1999), Adolescenza e identità, Bologna, Il Mulino.
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