Questo sito utilizza diversi tipi di cookie, sia tecnici sia quelli di profilazione di terze parti, per analisi interne e per inviarti pubblicità in linea con le tue preferenze manifestate nell'ambito della navigazione.
Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie clicca qui.
Se chiudi questo banner o prosegui la navigazione acconsenti all'uso di tutti cookie.

| |


Spazio libero per la tua pubblicità,
contattaci »


Accoglienza alle frontiere di donne trafficate (una testimonianza sul Progetto WEST)

Prima di ricoprire il ruolo di operatrice di frontiera, attività iniziata nella seconda metà del 2003 e prevista all’interno del progetto comunitario WEST (Women East Smuggling Trafficking – Tratta di donne a scopo di sfruttamento sessuale dall’Est Europa), al quale ha aderito il Centro Caritas dell’Arcidiocesi di Udine, non mi ero mai addentrata nel mondo della prostituzione, o meglio, nella realtà dello sfruttamento sessuale di cui molte persone non comunitarie sono vittime.
La formazione è indispensabile e necessaria, ma sicuramente non prepara all’impatto “dal vivo”. Ho affiancato per mesi chi, per professione, incontra faccia a faccia gli stranieri, ho visto come li assiste, come cerca di risolverne i problemi e come ne fa rispettare i diritti; ho studiato la legge sull’immigrazione e ho visto come viene applicata nell’ordinarietà. Nonostante tutto ciò, le prime volte che a Tarvisio ho incontrato, da sola, gli immigrati trattenuti dalle Forze dell’Ordine, ero piuttosto spiazzata e l’intervento da fare non era così chiaro e scontato.
Ogni volta, figurarsi agli inizi, che si fa un colloquio con una persona nel momento delle sue difficoltà, il collegamento che si crea, se pur breve, scuote entrambi: da una parte, in chi racconta, vengono a galla disperazione e dolore, soprattutto in quei frangenti particolari; dall’altra parte, chi ascolta assorbe inevitabilmente le emozioni altrui. È in quel momento che si rischia di perdere la lucidità necessaria per capire il quadro della situazione e come intervenire con gli strumenti a disposizione.
Nel breve tempo utile dovevo guadagnarmi la fiducia delle persone incontrate, cercare di capire dov’era la verità in quanto mi veniva raccontato e fare pressione là dove intuivo che un’apertura maggiore al dialogo…
Mi ricordo perfettamente l’agitazione interiore con cui vivevo i primi incontri, proprio perché ero consapevole di tutto ciò, dell’unicità della proposta di affrancamento che mi era possibile offrire.
Paradossalmente la gratuità dell’offerta era fonte di sospetto.
In più occasioni la presenza dell’interprete è stata preziosa per comprendere la disposizione, l’atteggiamento nei miei confronti da parte delle persone avvicinate, e quindi per capire come relazionarmi. Questo è stato un arricchimento personale, che mi è tornato utile anche in altri contesti.
Non posso riportare l’infinità dei tratti delle storie che ho ascoltato, però posso testimoniare le molte affinità che avevano, che mi hanno toccata. Storie di donne che hanno l’angoscia negli occhi, perché conoscono quello che hanno lasciato, quello che non avevano a casa, ma non riescono a immaginare cosa troveranno nell’Italia delle possibilità: scelte forse sprovvedute, ma molto coraggiose se si pensa che a farle sono anche donne di oltre 40 anni, vissute sempre in villaggi sperduti di campagna, consapevoli di aver lasciato figli che attendono i soldi che invierà la mamma.
È un luogo comune abbastanza diffuso il pensiero che queste persone migranti farebbero meglio a restare dove sono, piuttosto che fare un salto nel buio dove non si sa come andrà a finire, nella migliore delle ipotesi… bisogna provare a conoscere la loro realtà di provenienza, i mezzi di crescita che hanno avuto, e mi riferisco in particolare alla crescita intellettuale della persona umana.
Sono convinta che non necessariamente mi venisse raccontata la verità, o che comunque il racconto riguardasse una minima parte della realtà, ma ci sono varie maniere di comunicare col corpo, e quasi in tutti i casi con le persone incontrate si stabiliva una comunicazione.
Il mio compito era quello di assistere le persone trattenute dalla Forze dell’Ordine per irregolarità/mancanza di documenti, ma soprattutto di informarle del loro status giuridico in quello specifico frangente e presentare loro la possibilità di restare legalmente in Italia grazie all’art. 18 del Testo Unico Immigrati ( D. Lgs. 286/1998), se ne esistevano i presupposti. Era una scelta da fare, da parte loro, in un arco di tempo veramente limitato. Si trattava di fidarsi di quanto detto da me, una sconosciuta incontrata in territorio straniero accanto alle Forze di polizia. Partite con un proprio progetto migratorio, anche se piuttosto nebuloso, queste persone si vedevano proporre un’alternativa di cui non potevano verificare la veridicità prima di poter decidere. Alcune facevano difficoltà a capire che da parte nostra non sussisteva alcun guadagno, molte non riuscivano a prendere coscienza del proprio status di vittima.
E io ascoltavo, ascoltavo le loro descrizioni di come erano costrette a sopravvivere in Italia, esperienze atroci per il mio vissuto, ma che per loro erano la quotidianità, da affrontare e raccontare inevitabilmente con distacco e freddezza. Ma quando, dopo aver ascoltato per l’ennesima volta certe descrizioni, ho incontrato la stessa donna sulla strada mentre si prostituiva, l’impatto è stato fortissimo per entrambe. Poi la freddezza della “parte” è scomparsa ed è emersa la persona umana, con le sue emotività, con le sue fatiche per continuare ad andare avanti, in una maniera o nell’altra, scegliendo o subendo.
Ecco perché, delle altre 100 persone incontrate nel corso dell’attività di confine, “solo” 12 hanno scelto di affidarsi alle nostre strutture di accoglienza, e di queste 8 hanno aderito al programma di protezione: alcune non erano ancora state avviate alla prostituzione in Italia. Questo dimostra quanto sia realmente difficoltoso fare una scelta, per quanto in meglio, che cambierà la propria vita, per tutta una serie di motivazioni, in primis il fatto che una persona vive attraverso relazioni interpersonali, con legami più o meno indissolubili. Due delle quattro ragazze accolte che non hanno aderito al programma hanno portato avanti la scelta dolorosa di rientrare in Patria, perché con il loro lavoro di ballerine nei nights riescono, anche se a fatica, a sostenere economicamente tutta la famiglia: ritenevano di non poter perdere tempo a prepararsi un futuro “normale” qua in Italia, perché le loro famiglie avevano bisogno di una fonte di guadagno immediata.
È importante sottolineare che si sta parlando di vite umane, e strappare anche solo una vita a certe condizioni di sfruttamento ha un valore inestimabile. Inoltre, ha senso sostenere questi tipi di intervento, perché potendo dare indicazioni, vere e concrete, a chi è intenzionato comunque a venire nei nostri paesi, si può prevenire l’adescamento da parte di organizzazioni criminali.

Articoli Correlati

Nessun commento Leave a comment »

No comments yet.

Leave a comment


Notice: Undefined variable: user_ID in /var/www/AssistentiSociali.org/blog/wp-content/themes/assistentisociali/comments.php on line 39