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L’assistente sociale: destra o sinistra? (2^ parte)

Ma noi assistenti sociali, in fin dei conti, siamo di destra o di sinistra? Da dove ci deriva, ad ogni buon conto, questo bipolarismo concettuale? Il pensiero politico-sociale riguarda proprio due scuole di pensiero storico e socio-economico: quello liberista, legato al libero mercato e allo Stato riparatore, e quello socialista, connesso all’azione diretta dello Stato sull’economia per ridistribuire il reddito.

Chi legge conosce già queste teorie, lette e rilette durante gli studi universitari. Quel che voglio far presente è che l’Italia, contrariamente alla maggioranza degli altri paesi dell’Unione Europea, non si è mai completamente ispirata al modello liberista, ma neanche a quello socialista.

Il benessere, nonostante il bellissimo articolo 3 della Costituzione (secondo cui la Repubblica rimuove gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese) è stato ed è un precetto ancora poco goduto da parte della popolazione, condannata in maggioranza a non poter usufruire di fatto delle opportunità derivanti dal cosiddetto stato sociale.

Il benessere reale di ogni soggetto in Italia dipende ancora molto dall’appartenenza ad una certa classe economica o ad un certo territorio e non certo da diritti sociali esigibili. Ciò nonostante la Legge-quadro, di fatto invalidata dalla successiva Legge Costituzionale n.3 del 2001, la quale, regionalizzando i welfare e connessi diritti, ha di fatto frantumato ogni buona intenzione.

Lo stato sociale e le politiche sociali corrispondevano nel pensiero socio-politico italiano fino a qualche anno fa a politiche finalizzate all’erogazione di prestazioni economiche, il che ha avuto sia la funzione di sedazione del conflitto sociale (l’ottica liberista) che quella di redistribuzione reddituale (l’ottica socialista).

Il significato attribuito allo stato sociale, a mio modo di vedere, è purtroppo ancora lo stesso ai nostri tempi, sia nel pensiero di Governo (basti pensare ai bonus) che per la gente comune. Non bisogna quindi restare sbigottiti se ancor oggi per l’assistente sociale il “sociale” rappresenti un percorso relazionale verso l’emancipazione ed invece per la cosiddetta “utenza” ed ancor più chiaramente per la classe politica, nazionale e locale, esso rappresenti ancora la “dazione di un contributo economico”.

Esiste quindi un vizio tutto italiano circa i significati dati al welfare: esso infatti, denota storture confusive che vanno comprese almeno da noi se crediamo di padroneggiare letture più precise del pensiero postmoderno.

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