Il potere della risata nell’aiuto (1^ parte)
Noi assistenti sociali siamo fin troppo seri, intendiamo l’aiuto come un incontro col cittadino ancora troppo istituzionalmente inteso e dimentichiamo spesso l’umanità, non solo altrui, ma pure la nostra. Saper ridere è non solo una modalità di approccio all’altro verso un colloquio simmetrico, bensì anche una tecnica di abbattimento delle (altrui e nostre) resistenze emotive per un colloquio efficace. Di seguito un’argomentazione e qualche consiglio per la pratica professionale.
Partiamo dall’inizio: noi lavoriamo non solo in organizzazioni “serie”, ma “seria” è la nostra formazione, di conseguenza la nostra identità. Per “serietà” non intendo coerenza, ma “rigidità”, dovuta alla preoccupazione ad assolvere il compito e meno all’impatto emotivo sulle persone. Ciò deriva in primis dalla particolarità italiana, che evidenza possibilità lavorative in buona parte nella Pubblica Amministrazione, la quale, a sua volta, richiede ai propri dipendenti sobrietà, distacco ed autorevolezza verso i cittadini. Ciò è marcatamente evidente nei colleghi dello Stato, ove – essendo lo scopo istituzionale strettamente connesso all’esercizio del potere – vengono richiesti assistenti sociali “seri”. ciò è anche da capire: l’asimmetricità tra Pubblico Potere e soggetti rei (come gli utente dell’UEPE) o asociali (come gli utenti dei NOT prefettizi) presuppone appunto l’asetticità del rapporto, o meglio, la subordinazione dei “convenuti” ai Pubblici Ufficiali. La questione è più diluita negli Enti Locali, ove però prevale sempre l’asimmetria col cittadino: io col potere e tu senza, io al di qua della scrivania, tu al di là, io a capire e controllare, tu a chiedere. Ciò è il tipico approccio burocratico, ove il cittadino-suddito chiede al Pubblico Potere concessioni, il cui presupposto è la “serietà” del rapporto: risate, metafore o battute sono fuori luogo. Non ci vuole il premio nobel per capire che reali processi di cambiamento sono difficili in questi contesti burocratici. Infatti il vero processo di cambiamento presuppone comunicazione emozionalmente efficace, il cui presupposto è un chiaro orientamento a relazioni simmetriche, pur col rispetto dei ruoli.
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