Identità Trans, carcere e lavoro sociale. Tra stereotipi e mancanza di diritti
“Se non veniamo visti per chi siamo,
non veniamo visti affatto.
E, se non veniamo visti, esistiamo
sempre un po’ di meno”.
(Hays 2022 ,82)
L’articolo proposto è frutto del lavoro di tesi di ricerca della scrivente realizzato per il conseguimento della laurea in Servizio Sociale.
La domanda di ricerca iniziale è stata quali diritti sono garantiti ad una persona transgender in carcere? Concetti cardine di questa ricerca sono quelli di genere binario e diritti: il primo è necessario per comprendere l’origine dello stigma nei confronti delle identità che non rientrano nella dicotomia maschio-femmina per la quale il mondo è suddiviso, e la seconda per capire l’importanza di quali sono garantiti ad oggi e quali ancora devono essere rivendicati.
Per potervi rispondere ho fatto riferimento alla letteratura e portato a termine un totale di dieci interviste sia a persone attiviste nei contesti carcerari che a coloro che hanno una posizione di rilevanza nell’ambito sociale.1 La metodologia di ricerca da me selezionata è stata l’intervista a domande aperte, alcune realizzate in presenza, altre, per motivi legati all’area geografica di appartenenza, realizzate telefonicamente e successivamente trascritte. Questi contatti sono stati fondamentali per approfondire gli obiettivi della ricerca: la condizione di detenzione delle persone transgender, l’immagine che la società restituisce di loro e il ruolo e l’importanza del rapporto con i servizi e con l’assistente sociale.
In primo luogo, ho analizzato il processo storico che ha portato alla criminalizzazione e patologizzazione delle identità trans. A partire dall’antichità greca e romana, infatti, fino ai giorni nostri è possibile comprendere come le rivendicazioni di identità che non rientrano nel concetto di genere binario sono da sempre socialmente stigmatizzate. Gli anni ’70 sono un primo momento di grandi rivendicazioni fino ad arrivare alla conquista della legge n.164 del 14 aprile 1982. Tale legge regola le norme in materia di rettificazione e attribuzione di sesso introducendo la possibilità di cambiare, anche anagraficamente sesso, solo a seguito della diagnosi di disforia di genere. In questo susseguirsi di eventi sono tre gli elementi fondamentali: narrazioni, linguaggio e rappresentazioni che si muovono, nel corso della storia, come un insieme di ingranaggi che contribuiscono nel movimento della grande macchina degli stereotipi nei confronti delle identità trans. Ponendo una lente d’ingrandimento sulle carceri italiane, ho riscontrato che il carcere diventa l’estrema concretizzazione della binarietà del genere in un’ottica di doppio stigma: l’espressione dell’identità di genere diventa, per le persone trans, un fardello così come la condizione di detenzione maggiormente marginalizzante. 2 Questo quadro è il risultato della mancanza di una cornice normativa di orientamento in grado di prendere seriamente in considerazione la tutela e l’inserimento delle persone trans. Il carcere, dunque, si configura come una matrioska: questa bambola di legno di origine russa se guardata dall’esterno appare come un unico oggetto, solo analizzandola e toccandola ci si accorge della sua reale struttura. Nella società attuale, i discorsi di discriminazione e stigmatizzazione sono uno dentro l’altro e ogni singolo elemento contribuisce alla costruzione della bambola. Il carcere è l’ultimo piccolo contenitore che rispecchia tutto ciò che lo circonda, con il peso che comporta essere schiacciato dalle realtà intorno.
Per quanto concerne il ruolo dell’assistente sociale ho riscontrato ancora poco materiale dal punto di vista della letteratura. È stato, quindi, fondamentale il lavoro con le interviste per rispondere all’altro grande quesito della ricerca: come, l’assistente sociale, può essere agente di cambiamento in questo quadro e lavorare in ottica di tutela di suddette fragilità? Il primo riferimento è al Codice Deontologico dove sono presenti i principi di non discriminazione, giustizia sociale, sviluppo dell’empowerment, ma mancano specifici riferimenti all’orientamento sessuale e all’identità di genere. Il primo passo è la formazione: lavorare professionalmente significa sapersi rapportare con le persone con consapevolezza. È essenziale essere a conoscenza delle tematiche dell’identità di genere per riconoscere gli stereotipi, che socialmente ci vengono imposti e decostruirli per garantire una relazione di aiuto funzionale. La ricerca ha prodotto i seguenti risultati che prendono in considerazione quale deve essere il ruolo dell’assistente sociale: offrire supporto alle persone trans e alle loro famiglie per autodeterminarsi, verificare l’esistenza o meno di una rete poiché spesso le persone trans (soprattutto se uscite da un periodo di detenzione) sono sole, diventare perno di congiunzione tra cittadini e servizi proprio nel profondo significato del servizio sociale di comunità e creare un ambiente più confortevole in termini di contesto sociale per queste persone, poiché può significare salvare loro la vita o evitare he incorrano in situazioni di criminalità.
In sintesi i risultati della ricerca hanno evidenziato che i discorsi binari sul genere e le narrazioni originano stereotipi e conseguente marginalizzazione, i ruoli definiti per le persone trans nella società ruotano intorno ai concetti di prostituzione, sessualità morbosa e stravaganza, vige un’assenza di presa di responsabilità delle istituzioni che coinvolge la vita carceraria dei detenuti. Le sezioni protette, infatti, se da una parte garantiscono protezione alle persone trans da un contesto visceralmente machista e violento, dall’altra le priva della poca libertà di cui potrebbero godere, limitandole in uno spazio ristretto limitato sia in termini di rapporti che di attività.
Il quadro emerso è il risultato di una disattenzione sistemica nei confronti di queste identità che causa loro la morte.3 Ciò che alimenta questi discorsi è l’adattamento per cui è il momento di prendere una posizione su queste tematiche e assumersi la responsabilità di agire per un cambiamento strutturale. Questa ricerca non è un lavoro pionieristico ma auspico che possa diventare un mezzo per avere chiare le urgenze attualmente in essere in ambito sociale.
Occorre, quindi, innazitutto, farsi carico della propria matrioska ed avere il coraggio di svitare fino all’ultima bambola.
NOTE:
1 Le interviste mi hanno permesso di approfondire i contesti carcerari di Como, Ivrea, Salerno/Secondigliano e Poggioreale.
2 Sul territorio Nazionale solo sette carceri prevedono “la sezione protetta” dove sono detenute persone che hanno commesso reati di natura differente e che hanno necessità di essere tutelate rispetto agli altri detenuti. Sono collocate tendenzialmente all’interno degli istituti maschili ad eccezione del carcere di Firenze Solliciano dove la loro collocazione è in un reparto femminile. In queste sezioni scontano la pena, ad esempio, autori di reati relativi a devianze sessuali e anche le persone trangender.
3 Il Trans Murder Monitoring tra l’ottobre 2021 e settembre 2022 riporta 327 omicidi di persone trans e di genere diverso nel mondo, uccise per la loro identità di genere.
BIBLIOGRAFIA:
Di Rosa R. T., Gui L. (a cura di, 2021), Cura, Relazione, Professione: questioni di genere nel servizio sociale Il contributo italiano al dibattito internazionale, Milano, Franco Angeli S.r.l.
Madonia B. (2018), Orientamento sessuale e identità di genere. Nuove sfide per il servizio sociale, Trento, Erickson
De Leo M. (2021), Queer Storia della comunità LGBT+ L, Torino, Einaudi
Vianello F., Vitelli R., Hochdorn A., Mantovan C. (2018) Che genere di carcere? Il sistema penitenziario alla prova delle detenute transgender, Milano, Edizioni Angelo Guerrini e Associati srl
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