Questo sito utilizza diversi tipi di cookie, sia tecnici sia quelli di profilazione di terze parti, per analisi interne e per inviarti pubblicità in linea con le tue preferenze manifestate nell'ambito della navigazione.
Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie clicca qui.
Se chiudi questo banner o prosegui la navigazione acconsenti all'uso di tutti cookie.

| |


Spazio libero per la tua pubblicità,
contattaci »


L’incontro tra l’autore del reato e la vittima attraverso la giustizia riparativa: l’esperienza di Agnese Moro

Una disciplina organica dei meccanismi di giustizia riparativa si è avuta con il d.lgs. 10 ottobre 2022 n.150, di attuazione della legge 27 settembre 2021 n. 134, nell’ambito della c.d. “riforma Cartabia”.

È all’art. 42 lett. a che troviamo la definizione compiuta di “giustizia riparativa”: essa è riconducibile ad ˶ ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo e imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore ˵. La stessa norma poi specifica chi è da intendersi come vittima del reato: ˶ la persona fisica che ha subìto direttamente dal reato qualunque danno patrimoniale o non patrimoniale, nonché il familiare della persona fisica la cui morte è stata causata dal reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona˵. In altri termini, ai fini del presente decreto sono sussunte nel concetto di vittima del reato due categorie di soggetti del processo penale: la persona offesa dal reato come la persona danneggiata dal reato (per esempio i familiari della persona che ha subito l’illecito).

Compito della giustizia riparativa, nell’intendimento del legislatore, è allora di recuperare ad una dimensione di conciliazione la relazione fra colui ha subito un reato e colui che lo ha provocato. La pena, in quest’ottica, dev’essere considerata non già una vendetta, ma più propriamente uno strumento destare nell’autore del reato consapevolezza su ciò che ha fatto perché possa assumersi la responsabilità delle proprie azioni e riconoscerne il disvalore. La giustizia riparativa, insomma, serve a trovare una dimensione all’interno della quale le conseguenze di un atto illecito possano essere affrontate senza che la sofferenza da questo apportata venga gestita autonomamente dalle singole persone coinvolte.

Su questo tema, il 6 dicembre 2023, Agnese Moro, figlia dello statista democristiano, ha dialogato via teams gli studenti di alcune scuole superiori per descrivere loro il senso dell’incontro che si è avuto fra le vittime e gli autori della c.d. “lotta armata” degli anni Settanta; significativo già il titolo della conferenza, “Perché non sia il male l’ultima parola: la storia dell’incontro”, un vibrante tentativo di affermare in modo perentorio che i sentimenti dell’odio e della rabbia non possono e non devono prevalere definitivamente sulla speranza e sul perdono.

Il dato di fondo che si è registrato in prima battuta (comprensibilmente) è stato lo stupore degli studenti che, ascoltando le parole della giornalista, hanno iniziato ad interrogare su come possa essere possibile “un incontro” che metta da parte il desiderio di una punizione severa per l’autore del reato. Agnese Moro ha però dichiarato: ˶ L’odio è una catena, prende il posto di tutto. Ti possiede e ti obbliga a pensare sempre alle stesse cose, ti riempie di fantasmi, è un veleno incolore e inodore ma che si attacca a tutto e ti toglie la libertà di essere contento, di godere per qualcosa, si prende te stesso. Io i fantasmi li ho odiati con tutto il mio cuore, ma l’odio è una malattia strana… fa male soprattutto a te ˵.

E ancora, delineando il percorso di elaborazione personale della sofferenza: ˶ Io non ho mai coinvolto nessuno in questo piccolo inferno e un giorno mi sono resa conto che questo silenzio e il modo di gestire le conseguenze dell’irreparabile sono arrivate ai miei figli, le persone che volevo rimanessero fuori ˵. Confessa una realtà disarmante. Il dolore non coinvolge solo chi lo vive direttamente, colpisce indistintamente, seppur in modi diversi e riflessi, tutte le persone che si trovano a testimoniarlo, anche da più lontano.

È a questo punto del discorso che assume significato la funzione catartica dell’incontro: ˶ La giustizia riparativa ti porta a sostituire i fantasmi con le persone…nella mia mente loro erano ancora quei ventenni, poi mi sono ritrovata davanti persone della mia età e ho capito che quello che hanno fatto è orrendo ma è successo anni fa, il tempo è passato anche per loro. I fantasmi, quando incontri queste persone, vanno via immediatamente, perché le persone non le puoi odiare come i fantasmi, soprattutto se non sono arroganti. Sono persone con dei sentimenti che si possono leggere sui loro volti e perciò ascolti le loro storie e incontri il loro dolore, il dolore di chi ha fatto male a qualcun altro e non può sistemare le cose ˵.

L’unica cosa che si può fare è lavorare sulla vita di chi rimane dopo un omicidio, familiari di essa e carnefici, affinché la loro vita non vada sprecata. ˶ Con il tempo stai lì, dai la parola all’orrore che hai dentro e alle persone che devono ascoltarla, di chi ti ha fatto male. Ascolti le loro ragioni e capisci che è la cosa giusta, che sei esattamente nel posto in cui devi essere perché è l’unico luogo che può consentire ai fantasmi di andare via. Il passato è terribile ma non è oggi e bisogna dare spazio a vite che ricrescono. Loro saranno i cattivi per sempre ˵.

Agnese Moro sostiene che il male non è uno spirito che agita il mondo, è fatto da persone che hanno commesso scelte sbagliate; è un fatto umano e in quanto tale è meno onnipotente, poiché basterebbe che non nessuno lo perpetrasse per non farlo più esistere, ˶ basta solo guardarlo in faccia e diventa un’altra cosa ˵.

Le viene chiesto, nel corso di questo dialogo con gli studenti, se per lei sussiste una differenza tra la conciliazione e il perdono. Risposta: ˶ Per me lui [l’omicida di Aldo Moro, ndr] dovrebbe essere cattivo…penso che la cosa più importante della giustizia riparativa sia quella di vedere l’altro, è una grazia che ti viene fatta. Perdono: io non so cosa sia, è una parola molto traditrice perché ti porta in un mondo di disuguaglianze in cui io sono buono e quindi ti devo perdonare e tu sei il cattivo quindi devi essere perdonato. Riparare significa “ti posso voler bene anche perché mi sei venuto incontro, perché hai accettato l’immenso dolore di guardarmi. C’è una spinta dentro di noi ad andare gli uni verso gli altri, nel dire “accetto che tu esisti e non sei un fantasma”. Per vendicarsi con qualcuno che ha considerato la persona che amavo una cosa anche io stesso devo diventare una cosa…ed è doloroso perché noi siamo esseri umani, non cose ˵.

Il dolore ha una propria dignità, esige di essere sentito, vissuto, percepito. Per essere elaborato deve trovare un luogo per esprimersi ed è in questo senso che si ritrova la legittimità dell’azione riparativa. Non si vuole pretende, cioè, di combattere il dolore fino ad esaurirlo, ma si suggerisce di allungare la propria mano e trovarne un’altra disposta a sopportare lo stesso sforzo; si tratta di vincere la vergogna e mostrarsi all’altro con i propri errori, riconoscerne le conseguenze e comprendere che non è possibile tornare indietro. Intraprendere un percorso di giustizia riparativa significa, quindi, accedere all’occasione di ritornare a vivere, ˶ farsi la grazia l’uno all’altro, darsi il permesso di tornare ad essere delle persone ˵. E scoprire che un uomo è di più del male che ha inflitto.

Articoli Correlati

  • Non ci sono post correlati

Nessun commento Leave a comment »

No comments yet.

Leave a comment


Notice: Undefined variable: user_ID in /var/www/AssistentiSociali.org/blog/wp-content/themes/assistentisociali/comments.php on line 39