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Lettera aperta. Giovani e alcool

Spesso si sente dire “un bicchiere non ha mai ucciso nessuno“, oppure che un consumo moderato di alcol, non è la fine del mondo. Ma cosa si intende per “consumo moderato»? Che lo faccia il contadino o che lo faccia l’industriale, è sempre una sostanza tossica; è stata dichiarata droga dall’organizzazione mondiale della salute. Perciò, sarà meglio parlare di quantità o di consumo “a baso o alto rischio”, evidenziando che il rischio esiste a qualunque livello di consumo ed aumenta progressivamente con l’incremento delle quantità di bevande alcoliche consumate.
Se io mi faccio una “pista di coca”, cosa diciamo? Il fatto sicuro è che se uno beve uno o tre bicchiere e perché no? quattro bicchiere al giorno, “tutto va bene”, “tutto sotto controllo”; se la persona comincia a dare qualche sintomo di “allegria”, che magari col tempo diventerà quotidiana; chi lo conosce dirà, «si è vero, beve un può (ma allora beve moderatamente!?!) ma sapete, per fortuna non si droga». Quante volte abbiamo sentito questa frase “popolare” che nascondeva una tragica impotenza davanti ad una cosa che bisogna chiamare dipendenza da alcol. Nessuno ha cominciato una “carriera” di alcol-dipendente con 1, 2 o 3 litri di vino al giorno, ma proprio con un bicchiere.
Certo, «un bicchiere non ha mai ucciso nessuno», ma chi beve sempre acqua o bibite non alcoliche non svilupperà mai una dipendenza alcolica, uno che beve uno o due bicchieri, invece potrà potenzialmente svilupparla.
Il tunnel delle dipendenza non è solo “droga classica”. Il numero di morti dovute all’alcol non ha nulla da invidiare a quello dei decessi dovuti all’assunzione di sostanze stupefacenti, tanto più che le statistiche riportano dati dai quali emerge come l’etilismo spesso coesista con la dipendenza da oppio-narcotici.
Come mai, dunque, questo passaggio dal piacere all”inferno dantesco alcolico”? Qualcuno risponderà, «perché c’è stato “un abuso”». Se dice, (spesso addirittura nelle rivisti mediche) che «un bicchiere al pasto fa bene». Leggiamo sul n°36 di settembre del settimanale Gente: “Curarsi con il vino rosso”. Capisco che bere vino faccia parte della nostra cultura “dominante”, ma non dobbiamo inventarci effetti benefici sulla salute che non si possono dimostrare. Non è mai stato provato scientificamente che il vino fa bene, è provato scientificamente il contrario. Per esempio: 1 o 2 bicchieri di vino al giorno aumentano di 25% la possibilità di avere un cancro alla gola (non parliamo di chi combina alcol e sigarette!!!). L’O.M.S elenca 60 malattie la cui insorgenza può essere favorita da un consumo anche “moderato” di alcol. Quando si afferma che qualcosa fa bene alla salute, occorrerebbe, peraltro, soffermarsi su cosa nuoce e in che misura a parità di consumo.
In realtà non c’è fumo senza arrosto! Effettivamente nel vino rosso, ci sono delle sostanze chimiche che potrebbe fare bene all’organismo, ma questi giornalisti o peggio dottori, non dicono, per esempio se si parla del resveratrolo, che: “riguardo il resveratrolo, noto antiossidante, esistono numerose osservazioni (Università di Parma, studi Canadesi ecc.) che ridimensionano il ruolo svolto da tale sostanza. È stato osservato, ad esempio, che questa sostanza non venga assorbita dall’organismo quando veicolato dal vino o che siano necessarie quantità di vino veramente significative affinché si possa verificare a livello cellulare l’effetto protettivo tipico degli antiossidanti e dei flavonoidi in particolare (come il resveratrolo). In un litro di vino si registrano mediamente livelli di 0,6-0,8 milligrammi di resveratrolo; per ottenere gli effetti di “protezione” e per favorire un ridotto rischio vascolare, la quantità giornaliera assicurata dalla prescrizione medica (di almeno sei mesi) dei comuni farmaci che contengono principi attivi analoghi al resveratrolo è pari a 1000 mg. È facile calcolare che per raggiungere tali livelli terapeutici sarebbero necessari un migliaio di litri di vino“. (Emanuele Scafato, dal 1999 è Responsabile dell’Osservatorio Alcol dell’Osservatorio Fumo, Alcol e Droga dell’Istituto Superiore di Sanità. (Intervista a “Teatro Naturale” del 17.09.2006).

Un pò di serietà! Andiamo a prevenire l’infarto per provocare una cirrosi epatica! O come dire, curiamo il mal di stomaco eliminando il pepe nero, con 1 chilo di peperoncino al giorno! Non si capisce perché questa miracolosa sostanza non viene data sotto forma di compressa, mentre invece si va a incoraggiare il consumo di vino! Non si tratta di fare del moralismo. Si tratta di vedere la realtà in faccia. Secondo il Word Health Report dell’O.M.S. l’alcol provoca direttamente o indirettamente il 10% di tutte le malattie, il 10% dei tumori, il 63% delle cirrosi epatiche, ma anche il 41% degli omicidi ed il 45% degli incidenti, il 9% delle invalidità e delle malattie croniche. L’Istituto Superiore di Sanità sul PIL nazionale del 2003 (1.324 miliardi di euro) indica in circa 40 miliardi di euro annui tali costi. Per l’Italia, la cifra di 40.000 morti per alcol dovrebbe già far riflettere. L’Italia ha un altro record a parte quello del deficit, molto più pesante da un punto di vista umano e sociale, è quello dell’iniziazione all’uso di alcol, che avviene a 11e12 anni rispetto alla media europea e anche qui il “profondo veneto” arriva per primo! E qui siamo molto attenti, perché parliamo di essere umani che non hanno ancora l’apparato digerente in grado di “filtrare” l’alcol, perché il sistema enzimatico non è ancora sviluppato completamente.
Nel corso del Vinitaly del 2005 Il Ministro Alemanno ha dichiarato niente di meno che il fumo passivo faceva male, ma non l’alcol passivo. (Alla faccia di tutte le vittime sulle strade, ci sono già in Italia 1.500 morti all’anno per “alcol passivo” cioè pedoni, ciclisti e automobilisti inconsapevoli ed innocenti, uccisi da guidatori che avevano bevuto: va ricordato che sul totale delle cause accertate o presunte d’ incidente stradale, quelle per stato di ebbrezza erano l’1,2% nel 2003, sono salite all’ 1,5% nel 2004, lo stato di ebbrezza rappresenta, nel 2004, il 72% del totale delle cause dovute allo stato psicofisico del conducente, con 4.140 casi rilevati (contro 3.548 del 2003).

“Emerge un quadro desolante dall’identikit dei teenager italiani nel X Rapporto Annuale dell’Osservatorio adolescenti della Società Italiana Pediatri (Sip) presentato ieri a Milano e condotto su 1.251 ragazzini dai 12 ai 14 anni. Il loro motto è «vivere come i grandi». E nel tentativo di imitare gli adulti scelgono i modelli più sbagliati: fumano, bevono alcolici e fanno sesso non protetto. Come tanti grilli parlanti riconoscono i comportamenti a rischio poi però si trasformano in altrettanti lucignoli e razzolano male: il 75% circa (79,9% dei maschi e 69,5% delle femmine) infatti si mostra sprezzante del pericolo e solo il 24% (30% delle femmine) assicura di non fare mai cose che considera rischiose. Addirittura, il 13% (17% dei maschi) confessa di farle spesso. «I nostri teenager fanno gli adulti senza esserlo» denunciano gli esperti. «Autonomia e indipendenza sono desideri normali a questa età» ammettono, ma «il processo di adultizzazionè cresce e ci allarma», spiega il past president Sip, Giorgio Rondini. In generale, dunque, i baby-italiani sanno cosa può far male: fumare canne (87,1% degli intervistati), ubriacarsi (86,8%), guidare senza patente (86,6%), rubare (86,2%) o avere rapporti sessuali a rischio (84,9%). Eppure aumentano i ragazzi che fumano sigarette (28,8% contro il 25,7% del 2005) e che bevono vino (47,5% contro 46%), birra (53% contro 48,3%) o liquori (23,2% contro 22,5%). Crescono anche le testimonianze su amici che fumano spinelli (44,3% contro 40,1%) o si ubriacano (37,4% contro 35,8%), e il 41% ha persino compagni che rubano. Le minacce per la salute sono in agguato, e così il 44% del campione è finito almeno una volta al pronto soccorso”. (Il Tempo. 22 NOVEMBRE 2006).

Quotidianamente sui nostri giornali, si possono leggere articoli di vera “cronaca nera”, ciò che sembra sfuggire ai giornalisti, ai politici, che spesso volentieri, tracciano spesso della giovinezza un quadro disperato e patologico, è che essi, con il loro catastrofico, alimentano una rappresentazione sociale negativa di questa fascia d’età che si ritorce inevitabilmente contro i giovani stessi.
I giovani sono una categoria estremamente eterogenea, ma non fuori della società. Ogni adulto dovrebbe essere in grado di comprendere le necessità biologiche dell’età dell”adolescenza” e rispettarla. Nella realtà, spesso, il genitore non si comporta secondo logica ed è incredibile notare con quanta facilità l’adulto rimuova dalla propria memoria il periodo della propria adolescenza.
Non resisto a citare il filosofo greco Esiodo che (attenti!) più di 700 anni a-C diceva: «Non nutro più alcuna speranza per il futuro del nostro popolo se il futuro deve dipendere dalla gioventù superficiale di oggi. Perché questa gioventù è senza dubbio insopportabile, irriguardosa e saputa. Quando ero giovane mi sono state insegnate le buone maniere e il rispetto per i genitori. La gioventù di oggi vuole sempre dire la sua, è sfacciata e maleducata».
Incredibile! I giovani, non sono altro che il prodotto più rappresentativo del mondo adulto; è il “distillato” finale di tutte le paure, le incoerenze, i disagi, le tensioni, l’aggressività, la superficialità, le debolezze di uomini e donne che li hanno preceduti e che offrono loro costanti modelli di riferimento e gesta da imitare.
I giovani d’oggi, più di altre generazioni, soffrono del disagio generalizzato dell’inserimento nei contesti di una vita sempre più “banale” e crea nei giovani un sentimento di smarrimento, di inquietudine e di malessere generalizzato che in qualche modo devono essere compensati.
I nostri ragazzi sono pronti nel nostro mondo del consumismo ad affrontare o superare “l’alta marea”?, siamo in grado, noi, di promuovere una “cultura” del tempo libero, intenso come tempo della crescita, della stima di sé stessi? (io sono, io mi relaziono, e soprattutto: io valgo).
Chissà se in mezzo a tutti gli impegni, gli adulti hanno ancora il tempo per comunicare, per esprimere le proprie emozioni, per capire e farsi capire, per ascoltare, per trovare semplicemente il tempo di dialogare? La nostra società è talmente “grande e forte”, che sempre rende quello che è alla base della specie umana (il lavoro e il linguaggio), una vera proprio alienazione sociale e un mutismo.
Si! Mutismo! Mutismo nelle famiglie, sul lavoro, fra ragazzi. Parliamo, ma come? “Basta pensare all’Internet Addiction Disorder (IAD) o alla dipendenza da telefono cellulare, due patologie evidentemente figlie dei nostri tempi purtroppo sovente sottovalutate e non diagnosticate”. (Cesare Guerreschi. New addictions. le nuove dipendenze. Edizioni San Paolo). La società fa di noi dei … numeri. Non sarà un caso tutte queste depressioni, tutte queste forme di dipendenza da gioco, sempre in aumento, l’uso sempre in aumento di sciroppi e pastiglie che ridanno la voglia non di vivere, ma semplicemente, di “sopravvivere“.
Per i non “specializzati” può sembrare esista una netta differenza fra le dipendenze estreme (le droghe e dunque l’alcol) e quella delle “nuove dipendenze” (internet, lavoro, cellulare…), eppure la radice è sempre la stessa, ed è sempre autodistruttiva: è il bisogno primario, inarrestabile, indifferibile ed irrinunciabile di compiere una determinata azione, che riduce l’essere umano ad essere uno schiavo impotente delle proprie pulsioni, una patologia grave, che condiziona la vita di milioni di persone e delle loro famiglie, in modo traumatico e purtroppo spesso violento

Ovviamente, si capirà dalla mia lettera che bisogna cambiare modo e stile di vita, vale per l’alcol ovviamente, ma per tutto il resto della nostra vita. Quando si parla di stile di vita, di modo di vivere, vuol dire partire da .
Fossilizzarsi sulla pietà o sullo sdegno non aiuta a crescere e ogni individuo oggi, ha il diritto e il dovere di vivere e non sopravvivere.
Tutti questi problemi non possono essere risolti nel breve tempo, ma devono stimolare ad una riflessione su di noi e la società … noi e la vita.
Per una vita e uno stile di vita diverso, estraneo a qualsiasi “droga” di tipo culturale o … psicoattivo!

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