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La Disoccupazione. Breve analisi economica del fenomeno.

Introduzione alle misure di sostegno al reddito dal tentativo di riforma Fornero degli ammortizzatori sociali fino alla descrizione delle vigenti MISURE DI CONTRASTO ALLA POVERTA’ (Dall’esempio del ReD pugliese al Reddito di Cittadinanza)

La disoccupazione.
Caratteristiche e concetti introduttivi.

La disoccupazione è una condizione individuale e sociale da sempre più o meno oggetto di attenzione di governi, economisti, sociologi, studiosi del diritto del lavoro.

Sul versante dell’individuazione delle cause è imprescindibile un’analisi socio – economica. Ed è l’obiettivo di questa prima parte della presente trattazione.

La politica economica, disciplina che si occupa propriamente del ramo normativo delle scienze economiche (a differenza dell’economia politica che si occupa invece dell’aspetto positivo – e quindi la macroeconomia che individua il concetto di disoccupazione riferito ad una società globale dove i mercati sono tra loro correlati), è riferita propriamente all’attività dei policy makers che, mediante decisioni appunto “politiche” differenti (a seconda delle tradizioni politico – culturali – liberali e socialiste) mettono a punto un sistema di Welfare volto ad affrontare le distorsioni del mercato. Tra queste distorsioni vi è la disoccupazione. E tra le politiche volte ad arginare la disoccupazione vi sono quelle relative alla messa a punto di “ammortizzatori sociali”.

Per definizione 1 la disoccupazione è la condizione di mancanza di lavoro per una persona in età attiva (convenzionalmente considerata tale dai 15 ai 64 anni) che lo cerchi attivamente. Ci riferiremo, in questa trattazione, alla disoccupazione involontaria, cioè quella che si verifica quando vi sono potenziali lavoratori disposti ad occuparsi al tasso di salario vigente mentre la domanda di lavoro non è sufficiente ad occuparli. Ma più in la si darà maggiore significato, sul versante teorico, a tale concetto.

Ma perché esiste la disoccupazione?

Per semplificare, secondo il filone economico, le cause della disoccupazione sono riconducibili a due cause:
– La ricerca del lavoro
– La rigidità dei salari

Nel primo caso, si parla della necessità di un periodo di tempo per far coincidere lavoratori e occupazioni. Questo perché i lavoratori hanno competenze diverse e preferenze diverse, mentre i posti di lavoro hanno caratteristiche non omogenee, poiché a diverse competenze corrispondono salari differenti, portando il lavoratore a non soffermarsi sulla prima offerta che gli viene presentata.

Oltre a questi limiti strutturali, il flusso di informazioni di scambio tra lavoratori e posti di lavoro disponibili è imperfetto e la mobilità geografica dei lavoratori non è istantanea. Tutte queste motivazioni addotte dagli economisti 2 concorrono a ridurre il tasso di ottenimento del lavoro, cioè gli individui disoccupati che trovano occupazione in un periodo temporale.

I governi (i policy makers) tramite la politica economica hanno a disposizione diversi provvedimenti che possono utilizzare per contrastare la riduzione del tasso di ottenimento del lavoro. Perlomeno le teorie Keynesiane lo hanno dimostrato concretamente.

Nel secondo caso, la ragione per cui esiste la disoccupazione è la rigidità dei salari, che causa l’incapacità di questi ultimi di aggiustarsi istantaneamente così che la domanda e l’offerta di lavoro si eguaglino, come in un qualsiasi modello microeconomico di concorrenza perfetta.

L’impossibilità di uguaglianza tra domanda ed offerta nel mercato del lavoro deriva dal fatto che i salari reali non sono perfettamente flessibili, a volte rimangono bloccati a livelli superiori o inferiori al livello di equilibrio di mercato. Dunque se il salario reale è al di sopra del livello di equilibrio tra domanda e offerta, la quantità di lavoro offerta è superiore alla domanda e le imprese sono costrette a razionare i posti di lavoro disponibili tra i lavoratori.

Gli economisti definiscono questo tipo di disoccupazione come “strutturale”, derivante dalla rigidità dei salari: i lavoratori sono disoccupati perché al salario reale corrente l’offerta di lavoro è superiore alla domanda.

Va da sé che chi determina la rigidità dei salari è anche lo Stato che attraverso leggi sul lavoro impedisce al salario di scendere fino a raggiungere un livello di equilibrio. Le leggi sul salario minimo fissano un limite legale ai salari che le imprese possono corrispondere ai propri dipendenti. Altra causa della rigidità dei salari, secondo alcuni economisti, è il potere monopolistico dei sindacati che, attraverso i contratti collettivi concorrono alla formazione di regole generali di carattere economico e normativo a cui tutti i contratti di lavoro di devono uniformare. Secondo alcuni economisti 3 questo causerebbe una sorta di conflitto tra occupati e disoccupati: i lavoratori che hanno già un impiego saranno orientati a tenere alti i salari (mediante le OO.SS. e le contrattazioni collettive) ed i costi così ricadrebbero tutti sui disoccupati che a livelli salariali più bassi, probabilmente, troverebbero occupazione.

A mio questa spiegazione appare controversa. Altri economisti pongono la questione in altri termini, ma con lo stesso contenuto. Vi sarebbe una sorta di “disciplina” 4 che la disoccupazione eserciterebbe sulle richieste salariali: è la disoccupazione che crea la concorrenza tra i lavoratori occupati e i disoccupati. Ed è per questo motivo che si determina, da parte di chi è occupato, un miglioramento delle proprie capacità produttive e nello stesso tempo un incentivo per cercare l’aumento salariale mediante la contrattazione collettiva. Ma da qui a dire che la contrattazione collettiva e l’esistenza dei sindacati creano competizione tra i lavoratori è alquanto assurdo: in un epoca di mercato del lavoro “flessibile”, il lavoratore precario, con contratto atipico (non a tempo determinato), non aumenterà affatto la propria perfomance produttiva (semmai il contrario) né avrà il potere di esercitare pressione sindacale per consentirsi un aumento della propria retribuzione trimestrale perché spesso la retribuzione e le forme contrattuale temporanee sono invece il risultato di riforme del lavoro miranti a depotenziare il potere contrattuale del contraente subordinato.

Resta comunque valida la esigenza di avere una legislazione che limiti la possibilità di licenziare (anche perché secondo altri economisti le imprese preferiscono i loro lavoratori – la teoria dell’ “efficiency wages” 5 – teoria alquanto discutibile) . Inoltre un disoccupato “qualificato” sa che prima o poi troverà un posto, quindi non fa concorrenza agli occupati offrendo il suo lavoro ad un salario più basso. Solo il disoccupato di lunga durata (l’outsiders) può essere interessato a far concorrenza al sindacato, ma è proprio il soggetto che le imprese sono più restie a prendere in considerazione. E’ la realtà dei fatti che smentisce ipotesi assurde sul “monopolio contrattuale” dei sindacati.

Sembrerebbe, in maniera verosimile, che l’estendersi dell’area dell’impiego temporaneo e/o precario, sia dovuto ad una riduzione del lavoro autonomo e ad un aumento di quello industriale indotto dal processo di globalizzazione. La mobilità della forza lavoro e la precarietà sono, perciò, dovute ad un processo imposto dalle nuove regole (o non regole) del mercato globale.

Ci preoccuperemo, infatti, nel paragrafo successivo, di esaminare la disoccupazione come conseguenza del fallimento delle politiche del mercato reale.

La disoccupazione come dimostrazione del fallimento del mercato reale.

Tra le critiche più severe nei confronti dei mercati reali di svolgere il ruolo ad essi attribuito di “mano invisibile” (Adam Smith) non è trascurabile il tasso di disoccupazione.

Per definizione, se esistesse equilibrio su tutti i mercati dovrebbe essere in equilibrio anche il mercato del lavoro, e la disoccupazione non potrà che essere volontaria. Ma, in tali contesti attuali di crisi globale, è difficile pensare che una disoccupazione, perdurante e su scala mondiale, sia un fenomeno volontario.

I sostenitori della “mano invisibile” (teorici del liberismo, strateghi politici neocon, ecc.) hanno tentato di spiegare la disoccupazione individuandone le cause sempre alla luce della teoria dell’equilibrio economico della realtà – ipotizzando ad esempio il cattivo funzionamento dei prezzi (rigidità).

La disoccupazione è un fenomeno della realtà che evidenzia invece l’instabilità macroeconomica del mercato con effetti devastanti sulla microeconomia.

Secondo la teoria di Walras sull’equilibrio generale di concorrenza perfetta (e quindi di completezza dei mercati), c’è equilibrio (tra domanda e offerta di beni, e quindi anche di ottimo “paretiano” sul versante dell’occupazione) solo se vi è un vettore dei prezzi tale che su tutti i mercati l’eccesso della domanda ha poco conto.

Però: Condizione essenziale di tale assunto Walrasiano è che tutti i mercati debbano essere perfettamente in concorrenza. La realtà smentisce questo. perché non esiste concorrenza perfetta.6

Siccome Walras affermava che “in un’economia con N mercati, se N-1 mercati sono in equilibrio, anche l’N-esimo mercato deve essere in equilibrio, in termini di occupazione: se c’è un eccesso di disoccupazione, in altri mercati vi deve essere una pari richiesta di lavoratori. Siccome questo è irrealistico, ne deriva la “disoccupazione involontaria”.

Il mercato “Walrasiano” è quindi è destinato a fallire perché:
– Produce iniquità ed inefficienze.
– E’ un fallimento macroeconomico perché la teoria che ci spiega meglio la disoccupazione sembra essere proprio quella macroeconomica.
– Non vi sono mercati “altri” in grado di assorbire disoccupati di altri paesi. Almeno non in quest’epoca.

Teoricamente ci si è sempre riferiti alla disoccupazione come fenomeno “involontario” in riferimento alla definizione di Keynes, il quale connette tale fenomeno con il livello della domanda: vi è disoccupazione involontaria quando vi sono potenziali lavoratori disposti a lavorare al “saggio di salario vigente” o anche ad uno inferiore 7, ma la domanda di lavoro è insufficiente per occuparli: l’offerta di lavoro risulta quindi “razionata”.

Il fatto che vi sia disoccupazione involontaria significa che vi è una perdita di efficienza statica e dinamica per il sistema economico.

Il concetto di efficienza statica tira in ballo la questione dell’efficienza allocativa di Vilfredo Pareto 8 cioè la possibilità di migliorare la posizione dei disoccupati senza peggiorare quella di altri9. Almeno una parte di questi altri avrebbe una produttività marginale superiore al “salario di riserva”, cioè al salario che sarebbero disposti a ricevere. Lo spreco di risorse umane, al quale si associa nel mercato dei beni la mancata soddisfazione di bisogni anche essenziali, è l’oggetto di analisi di Lunghini 10 nel suo famoso saggio su “l’età dello spreco: disoccupazione e bisogni sociali”.

Sintetizzando: una disoccupazione che si prolunga nel tempo crea deperimento di risorse umane. La possibilità per questi di trovare un’occupazione si riduce all’aumentare della durata della disoccupazione.

Sul versante dell’efficienza dinamica11, la disoccupazione comporta l’obsolescenza delle qualificazioni e quindi una ridotta speranza di introdursi nel mercato del lavoro.

1.3 Dalla perdita di efficienza del mercato alla disuguaglianza sociale: considerazioni teoriche sugli ammortizzatori sociali e sulle misure di contrasto alla povertà – dall’esperienza pugliese del Red (nelle sue varie versioni sino alla misura nazionale del “Reddito di Cittadinanza”.

Oltre ad una perdita di efficienza, la disoccupazione crea ineguaglianze nella distribuzione del reddito. Come abbiamo già visto. Per temperare tali ineguaglianze sono necessari interventi pubblici di redistribuzione che consentano il pagamento di indennità di disoccupazione o “l’integrazione dei guadagni”, o che garantiscano, comunque, il pagamento di un salario minimo.

La Regione Puglia è stata la prima in Italia ad aver introdotto un reddito minimo denominato RED/SIA, con decreto interministeriale del settembre del 2016. La realtà sperimentata da chi quotidianamente si occupa di misure di contrasto alla povertà (anche meramente con fondi comunali e prima dell’introduzione delle misure regionali e nazionali) ha spesso smentito la buona fede di tale policy assistenziale che nella realtà, in riferimento ad alcuni utenti che malcelano il loro assistenzialismo cronico accompagnate e spesso sostenute da populistiche ed alquanto inefficaci annunciazioni12 o blande e sperimentazioni 13 poiché gli stessi policy makers (quale che sia il livello) pencolavano tra atteggiamenti favorevoli e sfavoreli in riferimento alle erogazioni assistenziali a volte intese carattere “universale” altre volte invece intese in forma residuale – a seconda delle proiezioni elettorali – a differenza di altri paesi europei.14

Alcuni economisti sono contrari a queste forme di reddito minimo per via del disincentivo che creerebbe in termini di offerta di lavoro. Tuttavia l’evidenza empirica dimostra che soltanto la durata massima dell’indennità, e non il suo importo, ha un effetto sull’offerta di lavoro e, pertanto, sulla durata della disoccupazione e sulla capacità di questa di contenere il salario e il suo tasso variabile15. E’ importante pertanto che le misure di contrasto alla povertà abbiano un inizio e una fine da correlare ad un progetto di reiserimento lavorativo o ad un impegno sociale che esorcizzi nel singolo, la dipendenza da contributi di tipo economico.

E’ chiaro dedurre che dinanzi alla durata sine die delle misure di contrasto alla poverta, sorgono fisiologici comportamenti “razionali” dell’individuo: se, ad esempio, il Reddito di Cittadinanza fa sì che, se il signor Rossi, il quale prima guadagnava 1200 euro svolgendo un’attività considerata “a nero”, non sarà incentivato a migliorare il proprio capitale umano né a cercare di trovare un’occupazione con un contratto di lavoro legale. Anzi, persino l’offerta di lavoro sarà disincentivata all’assunzione “legale” di tali lavoratori foraggiando un sotterraneo mercato di lavoratori senza contratto ma sostenuti dallo Stato.

Facciamo un’ipotesi: se al Signor Rossi, single, con abitazione in fitto (si ipotizza la situazione più favorevole al calcolo della somma Rdc più favorevole) durante il periodo di fruizione di tale indennità, gli venisse proposto da un datore di lavoro (non si parla di una offerta segnalatagli e impostagli dal Centro per l’Impiego territoriale – come dalle leggi istitutive del Reddito di Cittadinanza) di lavorare regolarmente per n° 3 mesi, con contratto a tempo determinato, e con una retribuzione netta mensile di 1.200,00 euro, è ovvio che il signor Rossi rinuncerebbe alla proposta di lavoro non perché l’importo totale della retribuzione che gli verrebbe versata sarebbe di poco superiore all’importo totale del Reddito di cittadinanza per tutta la sua durata di erogazione. Questo ovviamente per via della durata esigua del rapporto di lavoro propostagli (tre mesi). Questo succede anche se il Reddito di Cittadinanza consente la compatibilità con un’attività lavorativa temporanea (presentando il mod. Rdc/com agli Uffici Preposti).

Solo allorchè si profili la certezza di un contratto a tempo indeterminato con poche ore settimanali in tal senso le misure di contrasto alla povertà diverrebbero “misure di sostegno al reddito” – allorchè il reddito sia esiguo. Sarebbe più opportuno pertanto che si parlasse di “Reddito di occupazione” – seppur sia comunque presente alle porte il rischio che un imprenditore regolarizzi il dipendente per poche ore impiegandolo in realtà a tempo pieno. Quindi è tutto riconducibile all’etica personale. Prima ancora di pensare a tali misure in stretta correlazione con gli organi istituzionali di controllo capillare sul territorio (Ispettorato del Lavoro, Guardia di Finanza).

Precisazioni terminologiche

E’ lapalissiamo che le misure di contrasto alla povertà corrono il rischio, se mal intese, costituiranno pur sempre non solo un costo economico per la società ma anche una sorta di “macelleria” sociale: terminata la durata della fruizione di tali misure potrebbero sorgere, forse in maniera più violenta, i costi non economici della disoccupazione: frustrazione, emarginazione, nonché ritorno al sistema dei Servizi Sociali che erogano i classici “contributi” o, ancor peggio, la possibilità di rivolgimenti sociali e e aumento della criminalità. Si ricordi infatti che l’obiettivo di tali misure è quello della “inclusione sociale”, financo di tipo lavorativa che necessariamente comporta la coordinazione tra il Servizio Sociale, da tempo “sul fronte” per andare incontro alla povertà e il Centro per l’Impiego, in ogni luogo molto restìo e non in grado di effettuare attività di reperimento di occasioni di lavoro – a differenza delle agenzie interinali invece sempre viste di buon occhio dall’offerta.

Le conseguenze della disoccupazione

Aspetti sociali

Già Amartya Sen (1987) 16 aveva individuato l’esistenza di 11 differenti danni prodotti dalla presenza di disoccupazione. Elencati:
1 – Perdita di produzione corrente
2 – Perdita di qualificazione e danni di lungo periodo
3 – Perdita di reddito e disuguaglianza
4 – Perdita di libertà ed esclusione sociale
5 – Danno psicologico e povertà
6 – Cattiva salute e mortalità
7 – Perdita di relazioni umane e di vita familiare
8 – Perdita di motivazione e lavoro futuro
9 – Disuguaglianza tra i sessi e le razze
10 – Indebolimento dei valori sociali
11 – Inflessibilità tecnica e organizzativa.

Il problema della disoccupazione adesso investe l’Europa la prima causa persistente di esclusione sociale e larga scala. Si tratta di un fenomeno da cui nessuno ormai può sentirsi del tutto al riparo, poiché la tendenza contemporanea alla delocalizzazione17, ossia al trasferimento della produzione in Stati che offrono condizioni economiche più vantaggiose, pone a rischio tutte le categorie: non soltanto, perciò, mansioni non qualificate, ma anche i cosiddetti “impieghi di concetto”, giacchè molti paese, un tempo ritenuti arretrati, come la Cina e l’India, hanno conosciuto una rapida e dinamica evoluzione nella specializzazione.

Al di là dell’evidente mancanza di reddito la disoccupazione ha, purtroppo, effetti subdolamente deleteri per la persona e la società intera in cui questa è inserita. Tali conseguenze sono riconducibili proprio alla categoria di esclusione sociale. Sen Afferma che la disoccupazione causa un calo della produzione non semplicemente perché c’è meno gente che lavora, ma in quanto le risorse nazionali devono per forza poi essere destinate come sostegno alle famiglie dei lavoratori coinvolti anziché essere reinvestite aumentando i profitti. I sussidi percepiti, inoltre, non accrescono la libertà complessiva dell’individuo che ne è beneficiario, in quanto ne minano la possibilità di partecipare disinvoltamente e senza timore alla vita sociale18. Il riposo forzato è poi sorgente di diminuzione delle abilità cognitive, come rovescio del mancato esercizio di apprendimento attraverso l’azione (learning by doing): preludio di futuri e più radicali allontanamenti dal mercato del lavoro, accrescendo il digital divide, il divario tra chi ha accesso all’informazione e chi è impossibilitato a farlo.

Altresì la disoccupazione produce la riduzione del prodotto e del reddito aggregato. Il costo della perdita di produzione corrente di cui parla Sen si ripercuote poi tra gli occupati e i disoccupati stessi: i primi devono pagare maggiori oneri fiscali sia per finanziare i sussidi di disoccupazione, sia per coprire la perdita di gettito che i disoccupati avrebbero garantito se fossero occupati e sia perché subiscono un maggiore carico familiare per il sostentamento dei parenti disoccupati. I disoccupati devono perciò pagare per la differenza tra il salario che avrebbero guadagnato ed il sussidio di disoccupazione che percepiscono19.

Non mancano, inoltre, per chi viene ritenuto semplicemente senza lavoro ma in esubero, ossia scartato dal circolo economico e sociale, danni psicologici, in special modo tra coloro che si appronterebbero ad entrare nel mercato del lavoro, cioè i giovani.

Le misure di contrasto alla povertà in Italia:

Dalla riforma degli ammortizzatori sociali (legge Fornero) al RED (reddito di dignità pugliese – nelle sue versioni), il “SIA” (Sostegno all’inclusione attiva) passando per il REI sino ad arrivare al Reddito di Cittadinanza.

La riforma degli ammortizzatori sociali – intesi come quell’insieme di strumenti e misure di tipo previdenziale volte a sostenere il reddito del lavoratore in caso di perdita o di sospensione dell’attività lavorativa – era intesa dall’ex ministro Fornero una parte fondamentale della riforma del mercato del lavoro. La finalità di un ammortizzatore sociale è comunque quella di rendere più efficiente, coerente ed equo l’assetto degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive in una prospettiva di universalizzazione e di rafforzamento dell’occupabilità delle persone. Questo almeno recitava la legge Fornero.

Alla realizzazione di tali obiettivi sono dedicate le disposizioni di cui agli artt. 2 e 3 (e in parte 4) della sopra citata legge, la cui impostazione è ispirata anzitutto alla definizione di una netta divisione tra tutele nel mercato, ovvero destinate a operare quando il rapporto di lavoro è cessato, definite “ammortizzatori sociali” nel titolo dell’art. 2 che le disciplina, e tutele in costanza di lavoro, ovvero destinate a intervenire nei casi di sola sospensione del rapporto, cui fu dedicato l’art. 3 della legge Fornero.

Se si vuole, sotto questo profilo, si può leggere una linea di continuità con la riforma della cassa integrazione guadagni e della mobilità di cui alla legge n. 223/91.

Le legge Fornero però si distinse nettamente da quella del ’91 per due profili rilevanti: in primo luogo le tutele esterne al mercato del lavoro venivano, per così dire, universalizzate, ma solo nel senso che si supera la distinzione tra indennità di disoccupazione e di mobilità a favore di un trattamento unico uguale per tutti i lavoratori. Si trattava però di un’operazione di riduzione effettuata praticamente solo al ribasso. I requisiti fissati per l’accesso alla nuova assicurazione non erano infatti tali da garantire una vera estensione a tutti i lavoratori ed anzi potevano lasciare privi di tutela lavoratori che nel vecchio sistema avrebbero potuto accedere all’indennità di mobilità.

Vi è da ricordare che la legge Fornero manteneva comunque il regime di tutela separato per i lavoratori iscritti alla gestione separata, con tutte le conseguenti difficoltà di accedere a trattamenti in tutti i casi in cui il lavoratore alterni periodi di lavoro subordinato, di lavoro a progetto e di disoccupazione. I vecchi Co.co.co o collaboratori occasionali rimanevano (e rimangono ai margini di ogni qualsivoglia protezione sociale).

In secondo luogo le tutele nel rapporto vengono obbligatoriamente estese a tutte le imprese con più di 15 addetti. Ciò però non avviene attraverso un meccanismo di estensione della Cassa integrazione guadagni, che resta nelle sue linee fondamentali invariata, bensì attraverso la creazione di un sistema di fondi misti pubblico/privato istituiti dalla contrattazione collettiva ma regolati nei minimi dettagli per legge. A tali fondi fu affidato l’improponibile e utopico compito di realizzare una tutela uguale a quella della Cassa integrazione guadagni per i settori e le imprese non coperti.

La questione suscitò rilevanti dubbi di legittimità costituzionale, per violazione della libertà sindacale (art. 39 Cost.), del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) e del diritto alle prestazioni di previdenza sociale (art. 38 Cost.). La legge Fornero insomma si caratterizzava per un’ossessiva attenzione ai vincoli di bilancio e per la scarsa attuazione di una politica decisiva, sul versante legislativo, che attutisse la differenza tra sistemi di previdenza pubblici e sistemi assicurativi privati. Inoltre vi era l’ossessione della regola dell’obbligo di pareggio di bilancio: in più di un’occasione il legislatore stabilì espressamente che le prestazioni sono concesse solo in

presenza di copertura finanziaria. E’ chiaro che il logorroico termine “pareggio di bilancio” spesso giustifica (e la Corte costituzionale lo ha più volte ribadito) un regresso e una riduzione dell’entità delle tutele escludendo taluni soggetti che si trovano nella situazione di bisogno – in questo caso la disoccupazione involontaria – in relazione alla quale la legge in generale presume la necessità dell’intervento previdenziale e in relazione alla quale l’art. 38 Cost. impone che siano assicurati mezzi adeguati alle esigenze di vita.

Dopo lo spauracchio delle legge Fornero, e il ritorno a forme di tutela classiche del lavoratore in caso di cessazione del rapporto di lavoro (a seconda che si tratti di aver lavorato per 24 mesi o 12 mesi) è il caso di fare il punto sulle misure di contrasto alla povertà.

Cambierei tema, adesso (ma non troppo), passando a descrivere le c.d. “misure di contrasto alla povertà” che, se dal lato tecnico e legislativo sono fortemente distinte dagli ammortizzatori sociali, concettualmente non dovrebbero esserlo, perché spesso nell’immaginario popolare viene a crearsi una sorta di misunderstanding concettuale.

Le misure di contrasto alla povertà, nella loro ratio, devono essere intese non come un sostituto del reddito mancante derivante dal non inserimento nel mercato del lavoro, bensì come un incentivo alla ricerca attiva di un’occupazione. Ma è chiaro che tale concetto può essere applicato solo agli individui cosiddetti in “età attiva”, e non per le persone che si trovano in condizioni estrema deprivazione economico – sociale, correlata spesso a condizioni problematiche di tipo sanitario. Da ciò i diversi orientamenti dei policy makers a livello centrale ed anche a livello locale – nello specifico riferimento all’esperimento pugliese del Red (Reddito di Dignità).

Il “SIA (Sostegno all’Inclusione Attiva)

La legge 208 del 2015 individuava il Sostegno all’Inclusione Attiva (d’ora in poi denominato SIA). Si trattava di una misura nazionale finanziata da risorse statali. Ma la legge stessa prevedeva l’eventualità di percorsi di aggiornamento professionale finanziabili con risorse del Fondo Sociale Europeo di cui, nel caso pugliese, al “POR PUGLIA 2014/2020” E “PON Inclusione 2014 – 2020” di cui parlerò in seguito.

La misura SIA, collegandosi alle integrazioni regionali messe a punto nel frattempo nella Regione Puglia, prevedevano l’obbligatorietà della firma di un “patto” tra Stato e cittadino, a seguito di una presa in carico di quest’ultimo in termini di multidimensionalità, chiamando ad operare Servizi per L’impiego comunali e Servizi Sociali nell’ottica di una sussidiarietà verticale.

Il SIA è stato un punto di inizio, pertanto, ed esprimeva la necessità di una valutazione socio – economica a seguito di una presa in carico dei beneficiari da parte dei Servizi alla Persona i quali, come già poc’anzi accennato, insieme ai Centri Territoriali per l’Impiego, avrebbero dovuto svolgere attività coordinata.

Le esperienze raccolte dagli Ambiti Territoriali hanno precipuamente visto gli Assistenti Sociali impegnati in prima linea nella presa in carico dei beneficiari, consentendo di fatto solo ai professionisti del sociale la messa a punto di un percorso di tirocinio in seno al proprio Ente (o in Convenzione col Terzo Settore) di fatto non riscontrando alcuna collaborazione dei Centri per l’Impiego e del mercato dell’offerta del Lavoro di per sé restìa a qualsiasi intervento del “pubblico” nel mercato del lavoro privato, non senza qualche aprioristico pregiudizio.

Il RED (Reddito di Dignità Pugliese): come l’esempio pugliese ha tracciato il percorso al governo centrale.

La Regione Puglia è stata la prima regione italiana ad attuare un sistema di interventi economici mirati ai soggetti in condizione di bisogno prevalentemente economico. Nel 2016, con una legge regionale (n°3 del 14 marzo) ha istituito il “Reddito di dignità Pugliese” a seguito di una deliberazione della Giunta (n.1375 del 6 ottobre 2015) avente ad oggetto il “POR PUGLIA 2014 – 2020”, la quale in sostanza prendeva atto e approvava la Decisione della Commissione Europeai di istituire dei capitoli di spesa per lo sviluppo regionale, attuando un piano per il sostegno economico delle fasce deboli economicamente e promuovendo, nel contempo, l’Inclusione Sociale Attiva.

Il POR (Piano Operativo Regionale) Puglia 2014 – 2020 è un piano che ha fissato gli obiettivi di intervento e di investimento da attuare in Puglia per i soggetti poc’anzi individuati, acquisendo comunque alcuni tratti distintivi della misura nazionale prima descritta “SIA” disciplinati con decreto interministeriale.ii

Il Programma Operativo Puglia 2014-2020 (finanziato da due fondi europei, il FESR e il FSE) all’Obiettivo Tematico IX fissa una strategia regionale per il contrasto alle povertà e per l’inclusione sociale attiva di persone svantaggiate sotto il profilo economico in generale includendo anche le fasce c.d. “deboli”, si pensi alla disabilità, e alle fasce ulteriormente considerate a rischio, come ad esempio le donne vittime di violenza o grave sfruttamento e a rischio di discriminazione.

In relazione alle priorità di investimento di cui agli Assi VIII e IX del POR Puglia 2014-2020, la su citata legge regionale n. 3 del 14 marzo 2016 – istituendo il Reddito di Dignità, e ponendosi in una condizione di linearità dei principi di cui all’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, e degli articoli 1, 2, 3, 4, 38, della Costituzione italiana – ha comportato di seguito la conseguente approvazione del regolamento attuativo n. 8 del 23 giugno 2016 pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia n. 72/2016, assicurando la maggiore coerenza con i criteri di selezione delle operazioni, con i target di destinatari e con le fasi procedurali di selezione. Gli intenti del legislatore regionale insomma intendevano mettere a punto degli obiettivi, riferiti all’istituzione della misura, riguardanti:

– La costruzione o il potenziamento di una rete di servizi e interventi per i nuclei familiari, promuovendo l’inserimento lavorativo e l’inclusione sociale.
– La presa in carico complessiva dei singoli e dei nuclei familiari composti da più persone.

Sulla base di tali obiettivi la Regione ha voluto rimarcare l’attenzione al raggiungimento finale di due risultati, coerentemente con gli obiettivi dei due assi di intervento dei su citati capitoli di spesa europei:

Asse 8/Occupazione: come risultato atteso si intende far sì che i partecipanti trovino lavoro entro sei mesi dal termine dell’intervento singolo.
Asse 9/Lotta alla povertà e inclusione: il risultato atteso è quello di accrescere le capacità dei partecipanti a ricercare un lavoro o un percorso di inserimento lavorativo attraverso la loro qualificazione.

Pertanto la Regione Puglia ha emanato un primo regolamento nel giugno del 2016iii che ha innanzitutto consentito l’utilizzo del portale Regionale “Sistema Puglia” per consentire che la misura nazionale SIA fosse integrabile questa prima versione del ReD ed effettuare le istanze on line direttamente su questo portale.

Fonti di finanziamento

Essendo la misura SIA a scala nazionale, essa era finanziata da risorse nazionali con l’aggiunta di risorse provenienti dal FONDO SOCIALE EUROPEO (FSE) di cui allo stesso POR Puglia 2014-2020 e PON INCLUSIONE 2014 – 2020.

Tra i requisiti di accesso vi era quello relativo ad un categorico sbarramento per coloro che fossero fruitori di un ammortizzatore sociale e/o un’indennità assistenziale superiore alle 600,00 euro percepiti il mese precedente all’effettuazione dell’istanza.

I criteri di tipo economico e poi familiari (riferiti al carico di cura) e lavorativi consentivano l’attribuzione di un punteggio che inizialmente fu stabilito di “45” punti minimi per accedere alla misura (punteggio successivamente abbassato a 25).

Il Reddito di Dignità Pugliese (nella sua prima versione denominata “1.0”) cercava di andare incontro ai cittadini residenti in Puglia individuando un criterio di accesso più flessibile rispetto al SIA che di fatto escludeva una certa di platea di richiedenti: ad esempio il requisito relativo alla residenza (per la misura nazionale era necessario risiedere in Italia da almeno due anni, mentre la misura RED consentiva – e consente tuttora – l’accesso anche a coloro che avessero maturato anche solo 12 mesi di presenza nel territorio pugliese).

L’importo della misura SIA pertanto si componeva di una somma pari ad 80,00 euro mensili (per ogni singolo componente il nucleo familiare) e un’indennità integrativa regionale riferita ad un importo minimo di euro 200,00. Tale integrazione variava nel suo ammontare in misura proporzionale al numero dei componenti il nucleo, fino ad un massimo di 400,00 euro mensili. Da ciò l’importanza per la Regione Puglia di individuare un sistema informativo unico (la sopra citata piattaforma Sistema Puglia) che consentiva la contestuale istanza Sia / ReD dando la possibilità, come già detto, ai cittadini pugliesi di effettuare su un unico portale regionale l’istanza anche per la misura nazionale.

Procedura e istruttoria

L’istruttoria, lineare nelle sue modalità, era la seguente (poi rimasta sostanzialmente invariata nelle successive versioni del ReD):

– Istanza presentata in Piattaforma Regionale.
– La Regione rilevava le istanze con le dichiarazioni rese dai richiedenti e le assegnava ai Responsabili Unici del Procedimento (a scala di Ambito) assegnando un punteggio predefinito sulla base dei requisiti previsti riferiti all’aspetto economico (interoperabilità con Inps)
– Il Rup verificava i requisiti (tra cui i dati raccolti in pre – assessment) riguardanti prevalentemente i controlli anagrafici e con determina dirigenziale si definiva l’elenco degli ammessi e degli esclusi.
– L’Ambito firmava un “disciplinare” con la Regione.
– L’Inps erogava direttamente ai cittadini facendogli recapitare all’indirizzo di residenza / domicilio una carta prepagata.

Il ReD 2.0

La seconda versione del ReD (chiamato Red 2.0) fu istituita a seguito di decisione della Giunta Regionale che con Del. n. 939/2018 ha approvato le nuove procedure e i nuovi criteri di accesso alla misura regionale, innovando in parte la delibera di G.R. n. 1014/2016 con cui la Giunta aveva disciplinato l’accesso al ReD; in particolare detta Deliberazione, introduceva una novità riferita a dei target specifici di destinatari che potevano accedere al Reddito di Dignità in quanto strumento a corredo di una più generale presa in carico, dunque senza istanza di parte. Tale seconda versione ha trovato poi successiva regolamentazione nel febbraio 2018 (Reg. Regionale n° 2) che modificava alcuni aspetti rispetto alla versione precedente. Le modifiche sostanziali riguardavano non solo il diverso ammontare del beneficio in assenza del SIA (dato che nel frattempo veniva istituita la misura REI – Reddito di Inclusione con il D.Lgs. 147/2017) ma soprattutto il criterio di accesso relativo al requisito economico, cercando di includere chi era in possesso di un Isee ordinario compreso tra le 3000,00 euro e i 6000,00 euro20.

Tale criterio, pensato per poter annoverare gli esclusi dalla prima versione della misura regionale (perché in precedenza era richiesto un ISEE non superiore ai 3000,00) poi di fatto escludeva coloro che presentavano istanza dopo il mese di luglio 2018 (come previsto dal regolamento prima citato) presentando un ISEE inferiore ai 3000,00 euro.

Tali categorie escluse nel frattempo avevano la possibilità (fino al mese di marzo 2019) di presentare domanda per accedere al REI (Reddito di Inclusione) – misura non complementare con quella regionale.

Il REI (Reddito di Inclusione)

Istituito con il D.Lgs. n°147/2017 a seguito della legge di bilancio n° 205/2017, il REI prevedeva la corresponsione di una somma mensile ponderata sul numero dei componenti il nucleo familiare, fino ad un massimo di euro 539,8 per nuclei con 5 e più componenti. A differenza del Reddito di Dignità Pugliese non comportava obbligatoriamente l’espletamento di un tirocinio a titolarità dei comuni, ovvero di un progetto di comunità o di sussidiarietà.

Il Reddito di Dignità Pugliese nella sua terza versione (3.0).21

Mentre nel frattempo entrava in vigore il Reddito di Cittadinanza (L. 4/2019 e legge di conversione n.26 del marzo 2019), la Regione Puglia ha ritenuto di intervenire per correggere il tiro circa alcune imperfezioni riguardanti i criteri di accesso generali riferite alla misura nazionale. Pertanto la Giunta, con Deliberazione n. 352 del 26/02/2019 ha provveduto a fornire indirizzi operativi per la fase transitoria connessa alla piena implementazione del Reddito di Cittadinanza a livello nazionale e, in particolare, introducendo differenti target specifici di potenziali beneficiari rispetto alla misura nazionale. Nello specifico si sono indicati gli indirizzi per poter prendere in carico dai Servizi alla Persona, quindi senza effettuare alcuna istanza, le seguenti categorie di persone (consentendo ad esse di beneficiare della misura regionale):

– Genitori e/o coniugi separati non occupati e con eventuali componenti del nucleo non occupati già presi in carico dai Servizi pubblici
– Donne vittime di violenza prese in carico, da sole o con prole, dai Servizi pubblici, o collocate in un centro antiviolenza, o in una casa rifugio, o generalmente presa in carico dai servizi sociali professionali
– Persone separate, anche ex conviventi more uxorio se vi sono figli, senza stabile dimora (non si considera l’ ISEE del nucleo di provenienza, essendo lo stesso dalla quale i beneficiari sono stati ad esempio allontanati; Persone senza fissa dimora, con ISEE ordinario non superiore ad euro 9.360,00;
– Nuclei familiari con tutti i componenti in condizione di disabilità di cui all’art. 3 della legge 104 – presentando un ISEE ristretto non superiore a 15.000,00 euro;
– Nuclei familiari con almeno un componente in condizione di disabilità di cui all’art. 3 della legge 104, ma con tutti gli altri componenti di età superiore ai 65 anni – presentando un ISEE ristretto non superiore a 15.000,00 euro;

Mentre anche altre categorie di persone, non in carico ai Servizi Sociali, comunque venivano annoverate tra i beneficiali potenziali del ReD presentando istanza sul Portale “Sistema Puglia”:

– Le famiglie numerose con 5 o più componenti, con ISEE non superiore a 20.000,00 euro;
– i nuclei familiari con almeno 3 figli minori, e segnatamente quelle monogenitoriali, con ISEE see non superiore a 20.000,00 euro;
– i nuclei familiari di cittadini stranieri regolarmente presenti sul territorio regionale, che tuttavia non hanno avuto la residenza continuativa negli ultimi due anni e la residenza cumulativa per almeno dieci anni in Italia (va detto che nel biennio 2017-2018 le domande di accesso al ReD non hanno mai superato il 5% dei beneficiari);
– Nuclei di assegnatari dell’Assegno di Cura regionale (di cui all’Avviso Pubblico approvato con Atto Dirigenziale n. 642 del 17 ottobre 2018) il cui ISEE non deve essere superiore ai 20.000,00 euro;
– I nuclei familiari di emigranti italiani, iscritti regolarmente all’AIRE (l’anagrafe degli Italiani residenti all’estero), che rientrano in Italia e in uno dei Comuni pugliesi da Paesi in cui si registrano gravi situazioni di crisi economica e geopolitica, e senza possedere i requisiti per presentare la domanda per il Reddito di Cittadinanza (la residenza di almeno 2 anni continuativa e di 10 anche non continuativa), con ISEE non superiore ai 9.360,00 euro;
– Cittadini stranieri che non avrebbero i requisiti per presentare la domanda per il Reddito di Cittadinanza (la residenza di dieci anni di cui gli ultimi due continuativi), con ISEE non superiore ai 9.360,00 euro;

Pertanto con Atto Dirigenziale n° 468 del 19/06/2019 (Sezione Inclusione Attiva, delle Regione Puglia), veniva poi meglio disciplinato il ReD 3.0 che, oltre a ribadire le platee di beneficiari sopra menzionati, ha confermato i criteri generali di accesso per i richiedenti:

– Avere almeno diciotto anni di età;
– Essere residenti da almeno 12 mesi in un Comune pugliese;
– Essere cittadino italiano, ovvero comunitario ovvero familiare di cittadino italiano o comunitario non avente la cittadinanza di uno Stato membro che sia titolare del diritto di soggiorno e del diritto di soggiorno permanente ovvero in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo ovvero apolide in possesso di analogo permesso ovvero titolare di protezione internazionale (asilo politico protezione sussidiaria) ovvero straniero in possesso di regolare permesso di soggiorno ;
– Assenza, tra i componenti del nucleo da inserire, di percettori di Naspi o di altro ammortizzatore sociale per la disoccupazione involontaria (così come si evince nella Del. G.R. n° 703 del 9 aprile 2019);
– Assenza, tra i componenti del nucleo da inserire, di percettori del Reddito di Inclusione (D.Igs. 147/2017) e di richiedenti del Reddito di Cittadinanza; – – Essere disponibili a sottoscrivere un Patto di inclusione sociale attiva.

Il ReD, attualmente in corso, ha prodotto notevoli risultati. Nel 2018 fu presentata la Nota ISTAT 2019 che ha fotografato la diffusione della povertà in Italia riferita all’anno 2018, e che complessivamente a livello nazionale ha registrato una incidenza della povertà relativa dell’11,8% con una riduzione rispetto al 2017 dell’1,5%. Dalle stime che la Regione Puglia ha riportato22, si è evinta finalmente la ripresa di un trend positivo per la Puglia: dopo gli ultimi tre anni in cui l’incidenza della povertà relativa era cresciuta in linea con le altre Regioni del Mezzogiorno, nel 2018 la Puglia ha fatto registrare la prima inversione di tendenza, con una incidenza del 20% (- 1,6% rispetto al 2017), e tra le Regioni meridionali grandi, come Campania, Sicilia e Sardegna, è la Regione che ha la più bassa incidenza. Addirittura le stime della povertà relativa in Campania registrano ancora un incremento di 0,5%. La Puglia si posizionava pertanto al di sotto della media di povertà relativa del Mezzogiorno, che nel 2018 era ferma al 22,1%.

Questi dati hanno confermato l’efficacia della misura regionale messa in campo nel 2016 dalla Regione Puglia, di cui hanno beneficiato nel primo biennio circa 30 mila famiglie pugliesi.

Il REDDITO DI CITTADINANZA

Il governo centrale, nel frattempo, nel 2019 ha introdotto il Reddito di Cittadinanza (d’ora in poi denominato RdC).

Tale misura è stata introdotta dal comma 255 della Legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Legge Bilancio 2019), per contrastare la povertà, la diseguaglianza e l’esclusione sociale, a garanzia del diritto al lavoro, della libera scelta del lavoro e del diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione e alla cultura.

La Legge di Bilancio 2019 infatti ha istituito il “Fondo per il Reddito di cittadinanza” per l’attuazione di questa misura, con una dotazione economica pari a 8.055 milioni di euro per il 2020 e a 8.317 milioni di euro annui a partire dal 2021. Il decreto legge 28 gennaio 2019, n. 4 ha fissato, quali limiti di spesa per l’erogazione del beneficio economico del RdC e della PdC (pensione di cittadinanza), 7.131 milioni di euro nel 2020, 7.355 milioni di euro nel 2021 e 7.210 milioni di euro annui a decorrere dal 2022.

Il Reddito di Cittadinanza, e la Pensione di Cittadinanza, infatti, sono stati di seguito disciplinati dal sopra citato decreto legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2019, n. 26.

Quest’ultima legge di conversione infatti ha introdotto modifiche rispetto al precedente Decreto legge istitutivo. Nello specifico:

– I soggetti sottoposti a misura cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell’arresto o del fermo, ovvero condannati in via definitiva, per i delitti di cui agli articoli 270-bis, 280, 289-bis, 416-bis, 416-ter, 422 e 640-bis del codice penale, nei 10 anni precedenti alla richiesta del Reddito di Cittadinanza sono esclusi dal beneficio;
– I membri di un nucleo familiare richiedente RdC, sottoposti a una misura cautelare ovvero condannati, non vengono computati ai fini della individuazione della scala di equivalenza.
– Il calcolo dell’ISEE per i nuclei familiari con minorenni avviene ai sensi dell’articolo 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 dicembre 2013, n. 159, c.d. ISEE minori.
– Per il patrimonio immobiliare va considerato quello esistente sia in Italia che all’estero.
– Per il patrimonio mobiliare va considerato l’incremento dei relativi massimali per ogni componente con disabilità grave o non autosufficienza, come definita a fini ISEE.
– Viene di fatto abolita l’esclusione dalla misura del RdC dei nuclei familiari tra i cui componenti vi siano soggetti disoccupati a seguito di dimissioni volontarie, nel limite di 12 mesi successivi alla data delle dimissioni, eccetto che nel caso di dimissioni per giusta causa.
– Resta escluso solo il componente che ha presentato le dimissioni volontarie, e per il nucleo familiare viene ridotto di 0,4 punti il parametro della scala di equivalenza.

Il Reddito di Cittadinanza, attuato in Italia con enorme ritardo rispetto agli altri paesi europei (che hanno messo a punto la medesima misura con denominazioni differenti) comporta per il beneficiario singolo, o per un nucleo familiare più composito, un importo in denaro mensilmente e una serie di aiuti volti all’inserimento lavorativo che poi descriverò.

Intanto per i nuclei familiari composti esclusivamente da uno o più componenti di età pari o superiore a 67 anni, il Reddito di cittadinanza assume la denominazione di Pensione di cittadinanza, come già detto in precedenza.

CONSIDERAZIONI DI PRINCIPIO

Il legislatore ha inteso prendere come riferimento, per la determinazione degli importi, i dati ISTAT, i quali indicano che sotto la soglia di reddito di 780 euro al mese si rientra nella categoria di soggetti in condizione di povertà relativa o assoluta. C’è infatti chi ha entrate mensili insufficienti e chi invece proprio non ha una rendita economica. Il reddito di cittadinanza funziona su un principio di fondo: chiunque ha diritto ad un contributo economico che gli permetta di raggiungere quei 780 euro al mese necessari ad uscire dalla condizione di povertà.

Requisiti.

I soggetti che hanno diritto al reddito di cittadinanza sono i seguenti:
– Cittadini italiani maggiorenni
– Disoccupati
– Reddito da lavoro inferiore a 780 euro (certificato ISEE)
– Cittadini stranieri purché residenti in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due in via continuativa.
– Pensione inferiore alla soglia di povertà (pensione di cittadinanza)

La domanda per l’RdC va presentata presso uno sportello di Poste Italiane oppure presso i Caf. Un’altra soluzione è quella di fare la richiesta online del reddito di cittadinanza, collegandosi direttamente al portale RdC, dove vengono spiegate anche le procedure per ottenere questo bonus sociale e quali sono i documenti necessari a fare richiesta. Una volta completate le verifiche da parte dell’Inps, partirà l’erogazione del reddito di cittadinanza sulla carta prepagata PostePay e si verrà contattati da un Centro per l’impiego, che avvierà il percorso di formazione professionale ed inserimento lavorativo.

La durata del reddito di cittadinanza 2020 viene stabilita fino ad un massimo di 18 mesi, con la possibilità di rinnovarlo per altri 18 mesi, a condizione naturalmente di possedere i requisiti necessari.

La compatibilità del RdC con i redditi eventualmente posseduti.

Come abbiamo detto, il reddito di cittadinanza va considerato anche come una misura integrativa, nel caso in cui si svolga un’attività, quindi non solo se si è disoccupati, ma con un introito economico inferiore alla soglia di povertà stabilita dall’ISTAT a 780 euro al mese. In questo caso è necessario essere in possesso di un ISEE inferiore a 9.360 euro all’anno.

Procedimento a seguito del riconoscimento del beneficio.

Terminata l’istruttoria da parte del Ministero del Lavoro in interoperabilità informativa con L’Inps, il nucleo beneficiario riceve una comunicazione sia attraverso sms (dove gli viene indicato in quali uffici postali potrà ritirare la carta) sia attraverso un avviso cartaceo indicante la durata della misura. Recatosi in posta, l’operatore, una volta verificati i requisiti necessari ad ottenere il reddito di cittadinanza, consegnerà al beneficiario sia il Pin che la carta stessa.

Il reddito di cittadinanza può essere in parte anche prelevato in liquidità (100 euro per un solo componente, mentre 200 euro per più componenti il nucleo familiare), mentre il resto va speso direttamente nelle attività commerciali. È vietato utilizzarlo per giochi che prevedono vincite in denaro. Non si può trasferire denaro ed è possibile effettuare un solo bonifico al mese (quello per il pagamento dell’affitto di casa o per la rata del mutuo).

Condizionalità.

Una volta riconosciuto il beneficio, all’interno di un nucleo familiare gli individui “tenuti agli obblighi” sono convocati dal Centro per l’Impiego, al quale occorre rendere la Dichiarazione di Immediata Disponibilità al lavoro (DID) entro 30 giorni dall’accoglimento della domanda di RdC. Il Centro per l’Impiego territoriale (ma anche i patronati convenzionati con Anpal) è dotato della piattaforma digitale ANPAL, ma anche della piattaforma SIUPL (Sistema informativo unitario delle politiche del lavoro) dell’ANPAL, che è in fase di implementazione.

Oltre all’obbligo della sottoscrizione del Patto di Lavoro (presso il CTI) BI è ulteriore obbligo della sottoscrizione del Patto per l’Inclusione Sociale, presso i Servizi Sociali comunali competenti per territorio.

Sono comunque considerati “non tenuti agli obblighi”, ed esonerati dagli adempimenti sopra elencati, i seguenti soggetti:

– minorenni;
– beneficiari del RdC pensionati;
– beneficiari della Pensione di cittadinanza;
– persone con oltre 65 anni di età;
– disabili con riduzione della capacità lavorativa superiore al 45% o invalidi del lavoro con invalidità superiore al 33%, non vedenti, sordomuti, invalidi di guerra, se non è previsto il collocamento mirato;
– soggetti già occupati o che frequentano un regolare corso di studi o di formazione;
– soggetti con carichi di cura (c.d. ‘caregiver’) che si occupano di componenti familiari minori di tre anni o disabili gravi e non autosufficienti.

Come viene determinato l’importo.

Il calcolo di quanto spetta ai soggetti che hanno il diritto di ricevere il reddito di cittadinanza 2020 dipende da una serie di fattori, a partire naturalmente dalle caratteristiche del nucleo familiare. Se si vive in una casa di proprietà, bisogna sempre scalcolare dall’ RdC 280 euro, che corrispondono alla componente “Contributo affitto”.

Pertanto chi vive solo ha diritto ad un reddito di cittadinanza massimo di 780 euro, di cui 500 rappresentano la quota di integrazione al reddito eventualmente percepito (tale somma infatti varia a seconda dell’ammontare dell’eventuale reddito percepito e dichiarato in DSU), mentre 280 euro costituiscono la componente contributo affitto (150 se si paga un mutuo per l’abitazione di proprietà).

Facciamo degli esempi rappresentando varie condizioni afferenti il nucleo familiare.
persona che vive da sola: l’RdC può arrivare fino a 780 euro al mese, di cui fino a 500 euro come integrazione al reddito e 280 euro di contributo per l’affitto, oppure 150 euro di contributo per il mutuo;
2 adulti e 2 figli minorenni: in questo caso spetta fino a 1.180 euro al mese di reddito di cittadinanza, di cui 900 per l’integrazione al reddito e i soliti 280 come contributo affitto (vale sempre la regola dei 150 per il mutuo).
2 adulti, 1 figlio maggiorenne e uno minorenne: in questo il reddito di cittadinanza ammonta a 1.280 euro composto da una integrazione reddituale fino a 1.000 euro più 280 euro al mese di contributo per l’affitto, oppure 150 euro di contributo per il mutuo.
2 adulti, 1 figlio maggiorenne e 2 minorenni: 1.330 euro al mese, quindi in questo caso l’integrazione spettante al reddito è di 1.050 euro (1.050 euro e un contributo per l’affitto o per il mutuo pari a, rispettivamente, 280 euro o 150 euro).
pensionato solo e senza una casa di proprietà: accede ad una PdC di 780 euro al mese, comprensiva di un contributo di 150 euro per l’affitto;
pensionato solo, se ha i una casa di proprietà e riceve solo una pensione di invalidità: al posto di quest’ultima può ricevere una Pensione di cittadinanza di 630 euro mensili;
coppia di pensionati, che vive in un appartamento in affitto, avete diritto ad una integrazione alla pensione che possa garantirvi di raggiungere un importo di 1.032 euro al mese.

METODO DI CALCOLO:

Per calcolare il Reddito di cittadinanza occorre verificare, prima di tutto, il reddito familiare, che non deve superare il limite di 6.000 euro l’anno moltiplicato per il parametro della scala di equivalenza corrispondente al tuo nucleo familiare, che è pari ad:
1 per il primo componente del nucleo familiare
0,4 per ogni altro membro maggiorenne
0,2 per ogni componente minorenne
fino ad un massimo di 2,1.

ESEMPI PRATICI:

Persona sola: il reddito familiare deve essere inferiore a 6.000 euro (limite reddito familiare x parametro scala equivalenza 1, in quanto tale parametro è 1 per il primo membro del nucleo familiare e rimane tale se quest’ultimo è composto da una sola persona), mentre se si hanno due figli, di cui uno minorenne e uno maggiorenne, non deve superare 9.600 euro (limite reddito familiare x parametro scala equivalenza 1,6, risultate dalla somma di 1 per il primo membro + 0,4 per il figlio maggiorenne + 0,2 per il figlio minorenne).

Sottraendo il reddito familiare da quello massimo previsto in base alla composizione del nucleo familiare, puoi conoscere l’integrazione reddituale che spetta con il RdC. Questa, infatti, ha lo scopo di consentire il raggiungimento della soglia massima di reddito familiare prevista per il nucleo familiare.

Ad esempio:

Single e con reddito annuale di ad esempio 2.600 euro: si ha diritto ad un’integrazione integrazione reddituale di 3.400 euro l’anno, ossia 283 euro circa al mese [(6.000 – 3.400) / 12] – se con affitto: 283+280 = 583 euro.

1 solo adulto, 1 figlio maggiorenne, 1 figlio minorenne – reddito di 2.600 euro: se si possiede un reddito familiare di 2.600 euro e il nucleo comprende un figlio maggiorenne ed un figlio minorenne, si possono percepire 7.000 euro annui, ossia circa 583 euro al mese [(9.600 – 2.600) / 12].

A questo importo occorre poi aggiungere il contributo previsto per l’eventuale canone di locazione mensile (se si risiede in una casa in affitto), fino ad un massimo di 3.360 euro annui, o per l’eventuale rata del mutuo (se si risiede in un’abitazione di proprietà per il cui acquisto o la cui costruzione è stato contratto un mutuo), fino ad un massimo di 1.800 euro annui. Dividendo la cifra così ottenuta per 12 mensilità puoi conoscere l’importo esatto mensile del RdC. Si ricorda che l’importo totale annuale non può superare 9.360 euro.

Di sotto è riportata una tabella con degli esempi di calcolo.

Tornando alle modalità di fruizione, il Governo ha scelto di utilizzare un sistema basato sul versamento su carta elettronica, in pratica un bancomat che viene ricaricato ogni mese (nella sostanza si tratta di una prepagata gestita da Poste Italiane), chiamato Carta Reddito di Cittadinanza. L’obiettivo primario è quello di tracciare le spese. Infatti il Governo vuole che il reddito di cittadinanza vada ad alimentare le spese essenziali, non certo quelle superflue, come ad esempio il gioco d’azzardo. Con il RdC è possibile pagare l’affitto dell’abitazione di residenza, e altre spese ben specifiche.

Condizionalità legate al mercato del lavoro.

Entro i primi 12 mesi si potrà ricevere un’offerta di lavoro, da parte dei competenti Centri per L’Impiego, entro 100 km (100 minuti di viaggio) dalla propria residenza e si sarà liberi di accettarla o meno. In caso di rifiuto, la seconda offerta di lavoro potrà essere entro i 250 km. Se il rifiuto persiste, allora la terza offerta potrà essere su tutto il territorio nazionale e non si potrà rifiutare, pena la perdita del reddito di cittadinanza.

Va specificato che trascorsi 12 mesi dall’inizio dell’erogazione del RdC 2020, anche la prima opportunità di occupazione potrà essere entro 250 km dal luogo di residenza. Se invece si rinnova il reddito di cittadinanza per altri 18 mesi, allora tutte le offerte di lavoro potranno arrivare da tutto il territorio nazionale. Nel caso di famiglie in cui è presenta una o più persone con disabilità, l’offerta di lavoro non potrà superare la distanza di 250 km dalla propria residenza.

Dal gennaio di quest’anno è stato stabilito che a differenza di quanto previsto dal Decreto che ha introdotto il reddito di cittadinanza, tra le proposte di lavoro considerate valide rientrano anche i contratti di apprendistato, ma con uno stipendio che non può essere inferiore a 858 euro al mese.

Il ruolo dei Servizi Sociali nella erogazione della misura.

Vi è l’obbligo, per chi riceve il reddito di cittadinanza (obbligo sospeso durante il periodo di diffusione del Coronavirus, nel contesto dell’attuale emergenza sanitaria), di effettuare lavori di pubblica utilità durante tutta la durata del beneficio economico. Si tratta di lavori socialmente utili da svolgere in diversi ambiti che vanno dalla cura e manutenzione del territorio, come per esempio le aree verdi, a lavori funzionali alla conservazione dei beni culturali, ma in genere tutto quello che può essere di pubblica utilità. I PUC non prevedono una retribuzione e potranno essere svolti, a discrezione del Comune di appartenenza, anche presso enti terzi o aziende del terzo settore, senza sostituire il personale delegato, ma solo accompagnandolo nell’attività lavorativa.

Il Decreto prevede un impegno minimo di 8 ore alla settimana, che possono diventare fino a 16, a discrezione dell’amministrazione comunale, con una suddivisione dell’impegno giornaliero deciso dal Comune in cui si risiede.

L’art. 4, comma 15, del decreto legge 28 gennaio 2019, n. 4 stabilisce che chi beneficia del RdC debba offrire, nell’ambito del Patto per il Lavoro e del Patto per l’Inclusione Sociale, la disponibilità a partecipare a progetti a titolarità dei Comuni, utili alla collettività, definiti PUC, in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni, da svolgere presso il Comune di residenza. I lavori di pubblica utilità sono ad esempio: manutenzione del verde, assistenza alle persone anziane o portatori di handicap, tutela di aree pubbliche, assistenza all’organizzazione di iniziative culturali o formative.

Tali attività possono richiedere un impegno da un minimo di 8 ore ad un massimo di 16 ore settimanali. Ovviamente non possono essere oggetto dei PUC attività in sostituzione di personale dipendente dell’ente pubblico proponente o di enti gestori coinvolti nel progetto, o connesse alla realizzazione di lavori o opere pubbliche già date in appalto ovvero attività sostitutive di attività analoghe affidate esternamente dal Comune o dall’ente; Altresì si ricorda che i percettori del RdC non possono, inoltre, ricoprire ruoli o posizioni dell’organizzazione del soggetto proponente, nè essere utilizzati per sopperire temporaneamente ad esigenze di organico; la mancata adesione ai PUC da parte di uno dei componenti il nucleo familiare comporta la decadenza dal Reddito di Cittadinanza.

Va detto che i PUC non sono obbligatori sempre e comunque, ma escludono alcune categorie di persone che andiamo ad elencare.

– Occupati con reddito derivante da lavoro dipendente superiore a 8.145 euro lordi
– Titolari di reddito da lavoro autonomo superiore a 4.800 euro, sempre lordi
– Titolari di pensione di cittadinanza Over 65
– Studenti
– Disabili
– Soggetti impegnati, in famiglia, nella cura di bambini o disabili

Gli imprenditori che assumono un lavoratore beneficiario del reddito di cittadinanza ottengono sgravi fiscali per 18 mesi. Chi percepisce il contributo ed avvia una propria attività, riceverà comunque l’RdC per 16 mesi.

Pensione di cittadinanza

Se il pensionato vive da solo ed incassa un assegno previdenziale sotto i 780 euro al mese, allora riceverà la differenza per arrivare a 780 euro. Se invece si tratta di un nucleo familiare, allora la pensione di cittadinanza arriverà fino a 1.032 euro al mese.

Penalità in caso di indebito percepimento del RdC

Per chi chiede ed ottiene il reddito di cittadinanza senza averne diritto sono previste sanzioni pesanti, fino a 6 anni di carcere. A tal fine sono stati predisposti controlli specifici da parte della Guardia di Finanza ed incroci tra le varie banche dati a disposizione dell’Agenzia delle Entrate. Va ricordato che lo Stato ha messo in piedi, ormai da anni, un sistema molto complesso per determinare la capacità di reddito (si pensi ad esempio al redditometro) un enorme sistema informatico in cui confluiscono dati da diverse sorgenti. Se si effettua pertanto richiesta del reddito di cittadinanza, ma si conduce uno stile di vita incoerente con i requisiti necessari ad ottenere questo aiuto dallo Stato, è facile che si venga chiamati a risponderne. Il non rispetto delle regole per usufruire della misura Reddito di cittadinanza comporta delle pesanti sanzioni che vanno dalla perdita del beneficio alla pena della detenzione. Vediamo, nello specifico, quelle principali previste dal decreto legge:

esclusione dal RdC in caso di:

– Mancata sottoscrizione del Patto per il Lavoro o per l’Inclusione sociale;
– Mancata partecipazione alle iniziative formative senza giustificazione;
– Mancata adesione ai progetti utili per la comunità predisposti dai Comuni;
– Rifiuto della terza offerta di lavoro congrua;
– Mancato aggiornamento alle autorità competenti sulle variazioni del proprio nucleo familiare;

Pene detentive
– pena detentiva da 2 a 6 anni di carcere, se si forniscono dati falsi;
– pena della reclusione da 1 a 3 anni, se si omette di comunicare variazioni del reddito o del patrimonio.

Altre sanzioni prevedono la sospensione, revoca o decurtazione del beneficio, negli specifici casi dettagliatamente descritti nel decreto legge 28 gennaio 2019, n. 4.

La “ vexata quaestio” su cosa costituisce “Reddito familiare”

Ai fini del RdC, il reddito familiare è determinato ai sensi dell’articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, al netto dei trattamenti assistenziali eventualmente inclusi nell’ISEE ed inclusivo del valore annuo dei trattamenti assistenziali in corso di godimento da parte dei componenti il nucleo familiare, fatta eccezione per le prestazioni non sottoposte alla prova dei mezzi.

Il comma 2 dell’art. 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 159 / 2013 viene calcolato sommando le seguenti componenti:

– reddito complessivo ai fini IRPEF;
– redditi soggetti a imposta sostitutiva o a ritenuta a titolo di imposta;
– altre componenti reddituali esenti da imposta;
– redditi da lavoro dipendente prestato all’estero tassati esclusivamente nello stato estero in base alle vigenti convenzioni contro le doppie imposizioni;
– proventi derivanti da attività agricole per le quali sussiste l’obbligo alla presentazione della dichiarazione IVA;
– assegni per il mantenimento di figli effettivamente percepiti;
– trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, percepiti da amministrazioni pubbliche, se non sono già inclusi nel reddito complessivo ai fini IRPEF;
– redditi fondiari relativi ai beni non locati soggetti alla disciplina dell’IMU, non indicati nel reddito complessivo ai fini IRPEF;
– reddito figurativo delle attività finanziarie;
– reddito lordo dichiarato ai fini fiscali nel Paese di residenza da parte degli appartenenti al nucleo iscritti nelle anagrafi dei cittadini italiani residenti all’estero (AIRE), convertito in euro.

Pertanto costituiscono “Reddito” i punti sopra sottolineati che dipingono situazioni in cui spesso noi Assistenti Sociali ci imbattiamo quando siamo alle prese con l’ISEE: gli assegni di mantenimento per i figli, le pensioni di invalidità, le indennità di frequenza di minori con disabilità, e tutto ciò che è considerata erogazione “previdenziale” costituisce “REDDITO” già computato nell’ISEE nella voce “Somma dei redditi dei componenti il nucleo familiare”.

Considerazioni conclusive

Per concludere, ed evidenziare ulteriori spazi di discussione rispetto alle due misure regionali e nazionali:
– La misura nazionale presenta dubbi sulla questione della residenza anagrafica degli individui di nazionalità estera, sopperiti dalla misura regionale ReD 3.0. ;
– Entrambe le misure appaiono fondamentalmente idonee, nell’esperienza di chi scrive, nell’affrontare problematiche prima di tutto economiche di individui e nuclei che si trovano, da anni, in condizioni di povertà assoluta.
– La verificata complementarietà delle due misure nazionale e regionale: non si intende la loro contemporanea fruizione, ma la loro perfetta intersezione nei punti relativi all’impegno attivo del nucleo di in termini di inclusione sociale: la prima con i PUC e la seconda, regionale, con i tirocinii, progetti di comunità e progetti di sussidiarietà.
– La perfetta attuazione del principio dell’art. 38 della nostra Carta Costituzionale.
– Il superamento della “fantasia intrinseca” alla mente degli “utenti” (che in tal senso diventano “persone” del nucleo, ognuna con specificità sociali specifiche valorizzate) che le prestazioni di carattere economico comportano un impegno attivo alla vita relazionale di società.

In tali termini, la differenza tra “ammortizzatore sociale” e “misura di contrasto alla povertà” possono divenire concettualmente similari, se non nel fatto che, tecnicamente, l’unica differenza consiste nel considerare le ultime come un incentivo all’autodeterminazione.

FASANO GIUSEPPE (Assistente Sociale)
MARTINA FRANCA, 17 maggio 2020.

Riepilogo delle fonti documentali, dei riferimenti bibliografici e sitografici.

  • Keynes M., “teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”, UTET, Torino 1947, 2° edizione 1971.
  • Lunghini, “L’età dello spreco: disoccupazione e bisogni sociali”, Bollati Boringhieri, Torino, 1995.
  • Pareto V., (1936) “Manuale di Economia Politica”, Società editrice Libraria Milano (rist. Bizzarri, Roma, 1965).
  • Alchian, (1950) “Uncertanty, Evolution and economic Theory, in “Journal of Political Economy”, June.
  • Saraceno C., (a cura di) “Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale”, Carocci, Roma, 2002.
  • Barr N., (1992) “Economic Theory and Welfare State: a survey and Interpretation”, in “Journal of Economic Literature”, June.
  • Robinson J., “Essays in the theory of Employement”, Blackwell, London.
  • Robinson (1962), “Latter day Capitalism”, in “New Left Rewiew”, July – August, riprod. In “Collected Economic Papers”, vol. 3°, Blackwell, Oxford, 1965.
  • Sen A., “Etica ed economia”, Laterza, Roma-Bari 1988.
  • Sen A., “Lo Sviluppo è libertà”, Ed. Mondadori, 2001.
  • Sen A.; “La diseguaglianza, un esame critico”, Il Mulino, 2010.
  • Fitoussi J.P., articolo “Il mercato de localizzato”, tratto da “Repubblica” del 10 dicembre 2004 (trad. di Elisabetta Horvat).
  • Casazza F., “Sviluppo e libertà in Amartya Sen”, Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma, 2007 (pag. 144).
  • Mankiw G., “Macroeconomia”, Bologna, Zanichelli, 2004.
  • Krugman P. et alt. “Macroeconomia”, Bologna, Zanichelli, 2004.
  • Layard R., Nickell S., Jackman R., “Misurarsi con la disoccupazione”, Roma, Laterza, 1999.
  • Istat, sito istituzionale.
  • Sito “Sistema Puglia”
  • Sito Ministero del Lavoro

NOTE:

1 Mankiw G., “Macroeconomia”, Bologna, Zanichelli, 2004, cap. 6, pag. 234.

2 Krugman P. et alt. “Macroeconomia”, Bologna, Zanichelli, 2004, 2° edizione, pag. 420.

3 Layard R., Nickell S., Jackman R., “Misurarsi con la disoccupazione”, Roma, Laterza, 1999, p. 22-34.

4 “N. Acocella, “Elementi di Politica economica”, Carocci Studium, Roma, 4a edizione del 2009, capitolo 3°. Per la maggior parte degli studiosi, nel mercato del lavoro non vale la legge della domanda e dell’offerta. Secondo alcuni economisti i lavoratori e addirittura le imprese preferiscono la contrattazione per due possibili ragioni (quindi due considerazioni teoriche):

a) TEORIA DEI CONTRATTI IMPLICITI:

Il lavoratore è “avverso al rischio” e preferisce essere pagato sempre la stessa somma, quella del salario medio, anzi è disposto ad accettare anche un salario fisso più basso della media. Per l’impresa pagare un salario fisso è la stessa cosa, perché ha messo in conto l’alternanza di periodi buoni e cattivi; essa è “neutrale rispetto al rischio”. C’è spazio allora per un contratto che avvantaggi entrambi.

b) TEORIA DEI SALARI EFFICIENZA:

Si basa sul fatto empirico che i lavoratori non sono tutti uguali. Dal punto di vista dell’impresa essi differiscono per almeno 3 caratteristiche: la loro capacità di svolgere le mansioni assegnate; il loro addestramento; il loro impegno.

5 Appunto la teoria dell’Efficiency Wages (teoria dei salari di efficienza di cui alla nota precedente). Oltre al fatto che a un’impresa potrebbe risultare oneroso licenziare perché dovrebbe “re-istruire” il nuovo arrivato, essa stessa sarebbe favorevole ad elevare il livello del salario per indurre il lavoratore ad evitare il comportamento c.d. dello “shirking”, cioè il comportamento elusivo anti-produttivo sul posto del lavoro. Va da sé che è una teoria non del tutto collocabile nella realtà del mercato del lavoro, semmai invece probabile solo per lavori ad alta specializzazione.

6 Uno dei capisaldi teorici della scienza economica è la presa di posizione della condizione irrealistica dell’equilibrio paretiano, proprio perché i mercati non sono sempre concorrenziali per via dei

Monopoli legali: si prenda come riferimento il caso italiano del “sale”, qualche anno fa. Ovvero, la presenza di norme di legge che “nazionalizzano” un settore produttivo.
Monopoli naturali: il caso delle “public utilities”. Esempio l’acquedotto. Qui vi è la presenza di un interesse collettivo (acqua come “bene comune”) e privato (far gestire il sistema pubblico di erogazione dell’acqua ad un privato, garantisce efficienza?)
Oligopoli: Nelle economie di scala (quando determinati beni sono prodotti da due o tre imprese – es. il settore “automobilistico”) si verifica quando un’azienda A fa il suo prezzo per poi osservare come si comporta l’impresa B: se l’ impresa B punta sull’abbassamento del prezzo, l’impresa A Può comportarsi in due modi: 1. abbassando il prezzo. 2. Migliorando la qualità, ma alzando di poco il prezzo del bene

7 Keynes M., “teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”, UTET, Torino 1947, 2° edizione 1971, capitolo 2°, libro 1°, p. 22-34.

8 Pareto V., (1936) “Manuale di Economia Politica”, Società editrice Libraria Milano (rist. Bizzarri, Roma, 1965), pag. 142-154.

9 Il criterio Paretiano di efficienza allocativa afferma che “qualsiasi assetto sociale B è preferibile ad un altro qualsiasi assetto sociale A se in B rispetto ad A almeno un soggetto migliora la propria posizione senza che nessun altro la peggiori.

10 Lunghini, “L’età dello spreco: disoccupazione e bisogni sociali”, Bollati Boringhieri, Torino, 1995, pp. 41- 42.

11Alchian, (1950) “Uncertanty, Evolution and economic Theory, in “Journal of Political Economy”, June. P. 211-221 vol. 58. Alchian estese il concetto di efficienza dinamica alla capacità di apprendimento graduale delle risposte “corrette” agli stimoli e/o ai segnali del mercato: noi diremmo, la capacità di un disoccupato di essere sempre in grado di formarsi e di possedere le conoscenze che il cangiante mercato del lavoro, sempre più iper – tecnologizzato, dovrebbe possedere. Tale concezione appare alquanto “improbabile” nella sua fattibilità.

12 Una delle principali controversie politiche che da sempre ha contraddistinto l’asse policromo della politica è sempre stata la questione del reddito minimo da garantire a tutti, attualmente sfociata nell’attuale “reddito di cittadinanza” invece inteso in termini residuali. In passato altre forze politiche in seno al governo della Regione Puglia hanno annunciato nel giugno del 2012, (mediante pubblicazione nella “Gazzetta Ufficiale dell’’8 giugno 2012, n° 132) una raccolta di firme per una proposta di legge di iniziativa popolare per l’istituzione del Reddito Minimo Garantito peraltro annoverando tale misura come facente parte dei livelli essenziali concernenti i diritti sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’art. 17, comma 2, lettera m, della Costituzione della Repubblica Italiana” (comma 3°, art. 1 della proposta di legge).

13 Saraceno C., (a cura di) “Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale”, Carocci, Roma, 2002.

14 Una forma di reddito minimo (il reddito minimo di inserimento è stata introdotta in Italia in via sperimentale nel 1998-2000 ed ha riguardato 34.000 famiglie. Si trattò comunque di una misura di Sostegno del reddito di particolari soggetti a rischio di esclusione sociale. Introdotto con la legge 449/1998 (art. 47, 48), fu avviato nel 1998 e previsto fino al 31 dicembre 2000. Però la legge 388/2000 stanziò altre risorse finanziarie per la prosecuzione dell’istituto negli anni 2001-2002 ed ha, inoltre, aggiunto i comuni che hanno dato avvio all’iniziativa (individuati con D.M. 5/8/1998, D.M. 20/4/2001 e D.M. 7/5/2001), anche i Comuni compresi nei territori per i quali sono stati approvati, alla data del 30 giugno 2000, patti territoriali. Successivamente il D.L. 236/2002, convertito con modificazioni in L. 27/12/2002 n° 284, ha previsto (art. 5) la proroga del R.M.I. sino alla “conclusione dei processi attuativi della sperimentazione e comunque non oltre il 31 dicembre 2004, fermi restando gli stanziamenti giù previsti”. Per l’effettiva operatività dell’istituto, con il D.Lgs. 18/06/1998, n° 237, è stato istituito, in via sperimentale, un assegno erogato dal comune dove il beneficiario ha la residenza ed il cui ammontare era pari alla differenza tra la soglia di povertà o il diverso limite valido per i nuclei familiari e il reddito percepito dall’interessato. Il finanziamento all’iniziativa è per il 90% a carico del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali e per il resto fa capo ai comuni interessati. Successivamente la legge finanziaria per il 2004 (L.24/12/2003 n° 350) previde, all’art. 2, co. 101, l’introduzione del Reddito di Ultima Istanza (R.U.I.) quale misura di contrasto alla povertà ed al rischio di emarginazione sociale. Si trattava di uno “strumento di accompagnamento economico ai programmi di reinserimento sociale, destinato ai nuclei familiari a rischio di esclusione sociale, ed i cui componenti non siano beneficiari di ammortizzatori sociali destinati a soggetti privi di lavoro”. Di tale misura, dai contorni incerti a causa della mancata attuazione da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, pare poteva assumere una funzione sostitutiva rispetto al reddito minimo di inserimento. Ma è tutto un nulla di fatto, perché lo Stato dovrebbe concorrere al finanziamento della misura laddove questa venisse introdotta da parte delle Regioni. Ad oggi non risulta attuata in alcuna regione italiana.

15 Barr N., (1992) “Economic Theory and Welfare State: a survey and Interpretation”, in “Journal of Economic Literature”, June. Vol. 30.

16 Sen A., “Etica ed economia”, Laterza, Roma-Bari 1988.

17 Fitoussi J.P., articolo “Il mercato de localizzato”, tratto da “Repubblica” del 10 dicembre 2004 (trad. di Elisabetta Horvat).

18 Casazza F., “Sviluppo e libertà in Amartya Sen”, Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma, 2007 (pag. 144).

19 Sen A.; “La diseguaglianza, un esame critico”, Il Mulino, 2010.

20 Del. G.R. n. 939/2018 con la qualela Giunta Regionale ha provveduto ad approvare le nuove procedure e i nuovi criteri di accesso al ReD 2.0.

21 Si veda la Del. G.R. n° 703 del 9 aprile 2019.

22 http://www.sistema.puglia.it/portal/pls/portal/SISPUGLIA.RPT_ELENCO_NEWS_NO_RS.show?p_arg_names=_total_rows&p_arg_values=46&p_arg_names=_max_rows&p_arg_values=5&p_arg_names=_paginate&p_arg_values=NO&p_arg_names=_comp_name&p_arg_values=RPT_ELENCO_NEWS_NO_RS&p_arg_names=artema&p_arg_values=482

i Decisione Commissione Europea “C” n° 5854 del 13 agosto del 2015;

ii Decreto Interministeriale del 26 maggio 2016;

iii Regolamento Regionale n. 8 del 23 giugno 2016;

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