Africani: manodopera a basso costo
Le industrie dei paesi sviluppati sono entrate da tempo nel meccanismo di valorizzazione del capitale e hanno intuito che abbassando il costo della forza lavoro avrebbero ottenuto l’aumento del profitto.
Quest’esigenza del mercato ha spinto ad una forte delocalizzazione verso i paesi del terzo mondo, dotati di un ricco bacino di manodopera non qualificata, ma sottomessa dalla necessità di guadagno per la sopravvivenza, disponibile a lavorare con un orario lunghissimo e soprattutto di facile e rapida sostituzione.
La decolonizzazione e l’impoverimento delle campagne ha portato masse di africani a migrare internamente verso le città a disposizione delle industrie delle multinazionali, con condizioni insane e faticose, con una svendita del proprio tempo di vita a favore delle regole del capitale.
In questo meccanismo perverso si sono inseriti anche mi membri deboli della società quali i bambini e le donne, ben accetti perché pagati meno, a scapito degli uomini.
Le conseguenze dirette di queste forme di lavoro, molto simili alle vecchie forme di schiavitù, sono la mortalità precoce e le malattie professionali, ma ne conseguono anche varie forme di degrado sociale (ad esempio la tratta delle donne per la prostituzione e quella dei minori) .
Gli africani alla ricerca di lavoro, qualunque sia la loro meta, si ripropongono come forza lavoro a basso costo; quello che per noi italiani è il compimento dell’essere umano come attore sociale ed economico per i migranti diventa un difficile percorso per la sopravvivenza e una lotta continua per il riconoscimento dei fondamentali diritti umani.
Per saperne di più:
Claude Meillassoux, Per chi nascono gli africani, in Gli Immigrati in Europa a cura di P. Basso e F. Perocco, Franco Angeli, 2003
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