Colloquio e differenze: spunti di riflessione
Le differenze subculturali quali classe sociale, aspetto esteriore, età e sesso possono aumentare le difficoltà nel colloquio tra assistente sociale ed utente, limitandone l’empatia e la capacità di comprendere i bisogni dell’altro.
L’utente giunge al colloquio con il suo retroterra che influenza il suo modo di pensare, sentire e agire, ma anche l’assistente sociale porta con sè un insieme di fattori identificativi e deve essere in grado di conoscerli per limitare la loro influenza nel comportamento durante il colloquio.
L’interazione è quindi reciprocamente condizionata, ma la struttura del colloquio è assimmetrica perchè l’operatore è considerato l’esperto, la persona affidabile in quel campo.
Tale posizione “up” consente all’assistente sociale di decidere il cambio di argomento indirizzando il colloquio, di segnalare eventuali errori di interpretazione e definire i limiti del rapporto professionale.
E’ compito dell’assistente sociale porre i confini del colloquio e decidere cosa sta dentro e cosa sta fuori, perciò in tale condizione strutturata l’esperto si trova in una posizione di potere rispetto al suo interlocutore.
L’operatore con le sue capacità, le sue competenze e il suo “sapere” struttura la sua relazione professionale con gli utenti in termini asimmetrici, poichè la persona si rivolge a lui per avere risposte teoricamente affidabili e fondate.
L’assistente sociale ha il potere della competenza, quindi deve essere in grado di fornire risposte qualificate nel suo settore lavorativo, ed ha inoltre il potere di ricompensa perchè in base alla sua valutazione professionale può controllare l’accesso ai servizi che il proprio ente mette a disposizione in favore dei cittadini.
Nel colloquio con utenti immigrati che non hanno molta dimestichezza con la lingua italiana emergono delle difficoltà particolari: problemi nel cogliere bisogni diversi o diversi modi di vedere i bisogni, presenza di differenti abitudini, stili di vita e storie di vita a volte inconcepibili.
Quello che per alcuni è abitudine per altri non lo è.
Un nodo centrale è la differenza negli schemi di comunicazione e nell’uso del linguaggio, connesso anche con il bilinguismo.
L’assistente sociale ha la necessità di riconoscere la propria presenza-funzione-modalità di azione per andare oltre alla spontanea categorizzazione degli utenti sulla base della loro provenienza.
Chi migra vive “tra due culture” (Bhabha, 1994) oppure vive in una “cultura di mezzo” (Moreau, 1995), ma chi accoglie viene contaminato e non può rimanere fisso sulla propria posizione perchè ciò che era certo per lui in realtà non è più tale. Le culture si mescolano, si relazionano, si fondono e ne producono di nuove in una continua evoluzione.
L’assistente sociale deve interrogarsi su se stesso per poi comprendere l’altro, cercando strumenti adatti alla valutazione di ciò che è nuovo per lui, ma che siano soprattutto strumenti finalizzati all’aiuto.
Perchè non farsi aiutare dai mediatori culturali? Queste figure intermediarie, ad alta specializzazione, diventano uno strumento efficace e veloce per migliorare la comprensione dell’altro e quindi anche nella valutazione dei suoi bisogni.
E’ anche una modalità per creare un ponte, un avvicinamento tra persone, per farsi conoscere.
Le differenze subculturali sono ineliminabili, ma modificabili, cioè se vogliamo possiamo attenuarle o accentuarle.
“Gran parte della distanza sociale e psicologica viene ridotta dall’esperienza professionale, che sviluppa la capacità di una persona ad empatizzare e intendersi con gruppi diversi della comunità e che fornisce la conoscenza base di questa comprensione”. (Kadushin,1980)
L’assistente sociale ha il dovere di dare spazio all’ascolto e di porre maggior attenzione a chi ha bisogno di tempo per esprimersi, per valorizzare l’individualità di ciascuno e svolgere con cura il proprio lavoro.
Non è scontato per l’operatore riconoscere il potere che acquisisce nello svolgimento della propria professione, ma, con un buon lavoro formativo e riflessivo, è poi possibile incanalarlo per tutelare i più deboli.
Solo così possiamo vedere la professione in continuo movimento, capace di leggere i nuovi fenomeni e competente nel rispondere in modo aderente ai nuovi bisogni sociali.
Fonti:
Barbetta, Abitare due dimore. Migrazione, bilinguismo e psicodiagnosi, in Immigrazione e trasformazione dele società, a cura di Basso e Perocco, Franco Angeli.
Kadushin, Il colloquio nel servizio sociale, Casa Editrice Astrolabio, 1980.
Per chi volesse approfondire questo tema c’è il nostro forum:
http://forum.assistentisociali.org/colloquio-con-chi-non-parla-bene-in-italiano-vt5817.html
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